Non si parla più di immissioni in ruolo, non si sa se il decreto sia stato firmato o meno. In questo momento ci sono altre emergenze, per il governo e per tutti. I precari possono attendere sine die, tanto sono abituati al fatto che sono considerati poco o niente...e poi aspettano da così tanto tempo che un giorno in più o in meno, non cambia la loro situazione, precaria ma storica!
Da "Fuori registro" del 17/06/2008 riporto la lettera aperta al ministro Mariastella Gelmini della professoressa Elena La Gioia.
"Caro Ministro, mi presento. Sono l'ossimoro della Pubblica Istruzione, cioè una docente precaria ma stabile, storica per le cronache. Liquida, mi definisco io, e questa volta scelgo una metafora, perché mi adatto ad ogni scuola-contenitore come l'acqua. Viaggio con un bagaglio leggero, sempre pronta al trasloco, senza pensare mai che quel posto, quella cattedra, è mia. Scelgo libri di testo per alunni che non conoscerò e per colleghi che dovranno usarli senza averli scelti, infliggo debiti che non vedrò saldati, semino concetti che non raccoglierò, mento di continuo, saluto con arrivederci che in realtà sono addii. Quando ero giovane, ora ho 48 anni, ho scelto di fare l'insegnante perché volevo impegnarmi in qualcosa di costruttivo per la società. In verità a volte ci sono riuscita, mi è parso pure di costruire castelli, ma sono sempre stati castelli di sabbia, con la prima mareggiata di settembre sono andati giù, e io lì, ancora oggi, a ricostruire, anno scolastico dopo anno scolastico, in una scuola diversa. Da due anni ho avuto una spezzone di cattedra in un Istituto superiore di quelli definiti a rischio, cioè con una utenza difficile. Le utenze difficili sono il pane di noi precari, insisto con le figure retoriche, chi sceglie le cattedre prima di noi se ne tiene lontano. Qui i ragazzi sono stati traditi dalla società, dagli adulti. Anche io li tradirò. Dopo l'estate prenderò altre strade che porteranno ad altre scuole solo perché va rispettata la burocrazia e la graduatoria, e chi se ne importa della continuità didattica, dei sentimenti che tanto, quelli, non si segnano sul registro! Ecco che allora la supplenza annuale diventa un purgatorio, lungo, come il tempo delle espiazioni: il paradiso (cioè il ruolo) è lì, ma prima devi scontare, ma ancora per quanto, signor Ministro? Come faccio ad avere il coraggio, ogni anno, di dire ai miei alunni che non ci sarò, con loro, il prossimo anno? Che ne sanno loro di punteggi, di contenimento della spesa pubblica, di contrazione delle cattedre? Come glielo faccio capire che non dipende da me perché la scuola viene discussa e modificata e stabilita nelle finanziarie, e non nei dipartimenti appositi della conoscenza? Negli ultimi mesi noi precari siamo come la polvere che tutti cercano di nascondere sotto il tappeto. Ma, inevitabilmente, come la polvere siamo tenaci, e concedetemi la similitudine. Siamo abitualmente concentrati in tutte le scuole, un insegnante su sei è precario, soprattutto in quelle di frontiera, e così la precarietà esistenziale degli studenti più problematici si salda con la nostra precarietà lavorativa, privando i primi dei necessari punti di riferimento e i secondi della possibilità di calibrare interventi didattici a lungo termine. In una situazione del genere, inevitabilmente, diventano precarie le nostre parole, le azioni, i rapporti con gli alunni sempre nuovi e le intenzioni che li accompagnano, quando tutto va per il meglio, per otto mesi all'anno. In noi traspare la precarietà come unica e sola certezza, precari ma per sempre, quella che il ragazzo percepisce come legame effimero. E' questa la scuola che vogliamo? E che dire della dispersione scolastica? Permettetemi di rilevare un paradosso: come pretendo io di essere credibile se mi sento una campionessa di peregrinazioni? Come faccio a battermi per la frequenza e la costanza dei miei alunni se io stessa mi disperdo in continuazione? E come finisce l'anno scolastico mi ritrovo subito a pensare al prossimo. Il mio contratto di lavoro comincia il 1° settembre e scade il 30 giugno, ogni anno. Da più di 10 anni a questa parte. E trascorrerò l'estate, l'ennesima, con la sindrome della cattedra vuota, fino al giorno delle nomine, a quando guarderò la lista delle disponibilità e anche questa volta dovrò scegliere una scuola diversa. Il precariato stabile, per noi docenti, è uno strano destino, perché è come dare gli esami e non sapere mai l'esito finale, come costruire una casa, e ancora una volta non andarci mai ad abitare. E scusi l'ennesima figura retorica. Ma finora noi precari l'abbiamo sempre descritta in chiaro, la nostra situazione. E non è mai cambiato niente. Chissà se con un po' di retorica, qualcuno ci ascolti".
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