Ecco un articolo di Marco Lodoli da La Repubblica del 12-06-2008 .
"Ma gli insegnanti italiani guadagnano poco, decisamente meno dei loro colleghi europei, come ha scoperto anche la nuova ministra Gelmini, o invece per quello che fanno incassano pure troppo denaro? Se si passano dieci minuti nell'aula insegnanti di qualsiasi scuola del paese, si sentirà alzarsi al cielo del soffitto spesso umido e screpolato un coro di geremiadi: «Educhiamo i giovani italiani, abbiamo responsabilità enormi e paghe miserabili, lo stress ci divora e i ragazzi ci disprezzano perché intuiscono al volo che la cultura non rende niente, quattro soldi da poveracci». Fuori dalla scuola, invece, i professori vengono spesso considerati quasi dei privilegiati, persone addirittura invidiabili per il tanto tempo libero a disposizione, le lunghe vacanze, la paga sicura.
Lo stipendio si aggira tra i mille e quattrocento e i mille e ottocento euro,-(ma per un precario che inizia ogni anno da zero, come se non avesse mai insegnato anche se lo fa da 10/15 anni, lo stipendio é di mille e duecento euro!) - forse in provincia ci si può campare decentemente, ma a Roma o a Milano siamo sulla soglia della povertà. Il problema di fondo è il rimbalzo psicologico che lo stipendiuccio produce sugli insegnanti: si crea un effetto tartaruga, il prof avanza piano piano, circospetto, spaventato, pronto a ritirare sotto il guscio le zampe e la testa, a proteggersi nell'immobilità.
Un insegnante dovrebbe sentirsi partecipe della vita culturale della nazione, dovrebbe poter comprare libri e riviste letterarie e scientifiche, vedere al cinema i film di cui si discute, andare a teatro, alle mostre, ai convegni, riflettere su tutto quanto per trasmettere ai suoi allievi il senso e l'energia del tempo presente. Tutto questo - proprio per una certa indigenza di fondo - non avviene. Preoccupato di raggiungere la fine del mese, assillato dalle richieste dei figli, dalle mille spese da affrontare, dalla tramontana che spira dal gramo conto in banca, a poco a poco l'insegnante rinuncia ad aggiornarsi, la sua curiosità si spegne malinconicamente, i contatti con la cultura viva si perdono.
Pochi soldi si traducono in poco interesse per quanto di buono accade attorno a lui. La tartaruga si barrica nella pura sopravvivenza, non rischia più nulla. Così la scuola intera si impoverisce. Tanti miei colleghi si accontentano di andare avanti e indietro sui libri di testo, sulla stessa tranquilla mattonella, e il loro sapere diventa fermo e triste come una sconfitta. Quasi mai vedo tra le loro mani i romanzi o i saggi del momento, quasi mai li sento parlare delle pellicole che creano confronti e polemiche, mai di musica o delle nuove scoperte scientifiche.
Insomma, non di solo pane vive l'uomo e il prof: se i soldi forse bastano alla pagnotta, certo non sono sufficienti a nutrire lo spirito, che quasi senza rendersene conto sfiorisce mestamente, e presto non profuma più. E così la scuola italiana sa di naftalina e di rassegnazione."
giovedì 12 giugno 2008
Non si vive di solo pane!
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento