Sul settimanale l’Espresso del 3 aprile, Giorgio Bocca, nella rubrica L’antitaliano, sostiene la tesi che la pigrizia nel modo di comunicare e di esprimersi, si trasforma in pigrizia nel modo di pensare.
Bocca esordisce domandandosi perché alcune parole, a seguito della loro ripetizione continua, diventano di moda tanto che vengono usate quasi con una sorta di compiacimento, senza mai annoiare. Due di queste parole, tra le tante che si sono succedute in questi anni, sono: Allora e Assolutamente.
La prima interiezione si trova in tutti i quiz e le interviste concesse dai personaggi famosi. Nei quiz, la risposta risolutiva è preceduta da un “allora” che funge da “Vedi come sono riflessivo? Non rispondo a vanvera, vengo da un villaggio del meridione o del Veneto, ma non mi faccio impressionare dalla TV”. Un modo di dire che sembra poter ricollocare il soggetto in una posizione non di sudditanza nei confronti del mezzo televisivo. Bocca sostiene che la “magica” parolina “Ha liberato gli italiani dal loro complesso di inferiorità”.
A rafforzare la funzione di autoassicurazione delle parole, arriva un “assolutamente”, che in un crescendo di rassicurazione, diventa un “assolutamente sì”, finalmente liberatorio.
Gli antenati di queste paroline di moda, sono il vituperato “attimino”, che grande fortuna ha avuto fino a pochissimo tempo fa e che continua a trascinarsi, un po’ stancamente in verità, nelle pieghe del linguaggio comune.
Quale il significato nascosto di questa parola? Se ad una richiesta la risposta era “un attimino”, si poteva pensare che essa non avrebbe avuto un esito positivo, poiché l’attimino, precedeva, quasi immancabilmente, il riscontro definitivo negativo.
Anche la famosa “in prima persona”, tanto cara alla sinistra, aveva uno scopo ben preciso che superava l’ambito dell’interpretazione letterale. Essa serviva, secondo l’autore dell’articolo, a “riempire i vuoti d’intelligenza e di memoria”.
Questo breve excursus sui luoghi comuni, serve per dire che sebbene il linguaggio si sia sempre avvalso di essi, la modernità ne abusa o meglio “il luogo comune sembra l’unico modo per capirsi, per esprimersi”. Molte persone fanno dei luoghi comuni, delle parole di moda, un uso eccessivo e tra questi, Bocca annovera i calciatori con le loro “quel che conta è il gruppo” o “dobbiamo crederci” o “la voglia di vincere e non mollare mai”, diventato un ritornello ripetuto all’infinito da presentatori televisivi, dal linguaggio alquanto discutibile.
Il vero problema è che questi personaggi non sono in grado di “fare un discorso articolato, tra emozioni e ragionamento”, pur sapendo quanto un gioco di squadra risenta di “misteriosi ed intrecciati stati d’animo collettivi che passano dall’individuo, dal campione al gruppo”.
Naturalmente, tra coloro che fanno un uso eccessivo di luoghi comuni, non possiamo dimenticare i politici che dovrebbere conoscere e usare la lingua “come il principale dei ferri del loro mestiere”.
L’articolo termina con la constatazione che il linguaggio moderno specializzato, ignora la lingua colta; la scuola è diventata la pubblicità che non si serve più della lingua, sostituita dalle immagini, che hanno, sì, un impatto significativo, ma che spesso non ne possiedono la stessa pregnanza.
Bocca attribuisce all’uso dei luoghi comuni, un valore di “peccato veniale, di perdonabile pigrizia”, ma ricorda altresì che l’accidia è annoverata tra i peccati mortali e mette in guardia contro l’inevitale pericolo che la pigrizia nel modo di parlare e più in generale nella comunicazione, porti alla pigrizia del pensiero che ha come conseguenza la “mancanza di pensiero, di dialettica, che rende opaco e triste il nostro modo di vivere la modernità”.
Attenzione, dunque, all’eccessivo “rilassamento” della mente, facciamo in modo che per combattere il “logorio della vita moderna” (come recita uno slogan pubblicitario), non sia necessario evitare la “fatica” di esprimersi.
domenica 6 aprile 2008
Il festival del luogo comune
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento