Sul Corriere della Sera di oggi, domenica 27 aprile, lo storico Sergio Luzzatto, docente di Storia Moderna all'Università degli Studi di Torino, commenta due dichiarazioni rilasciate in occasione del 25 Aprile da due storici, Piero Melograni e Lucio Villari.
Luzzatto, nei suoi scritti ed in particolare in "La crisi dell’antifascismo" Einaudi 2004, sostiene che, con l'avvento della Seconda Repubblica, si è avviata in Italia una smobilitazione ideologica che ha investito le fondamenta dell'identità nazionale, a cominciare dalla Resistenza, per proporre una sorta di nuovo patto fondativo basato sulla riconciliazione tra i nemici di ieri e sulla "condivisione" di storia e memoria. Una "equidistanza" tra brigate partigiane e brigate nere, tra anticomunismo e antifascismo. Luzzatto mette in discussione le premesse storiche, politiche ed etiche di questa logica, denunciando l'odierna diffusione della Vulgata post-fascista, che minimizza i crimini del Ventennio e argomentando l'attualità dell'antifascismo quale antidoto alle derive populiste, plebiscitarie e razziste.
La riflessione di Luzzatto ha come titolo
"Revisionismi e rovescismi":
"Sulla storia italiana del '900 si dice ormai di tutto. Quasi facendo a gara nel "revisionismo" o nel "rovescismo". Così riguardo al 25 Aprile, anniversario della Liberazione. Sul Corriere di domenica scorsa lo storico Piero Melograni ha sfondato la porta aperta (anzi apertissima: spalancata da anni) dei "miti" e della "retorica" di una Resistenza da "sfatare", per offrire alla destra come alla sinistra il consiglio dell'equidistanza e la morale dell'indifferenza: "meglio lasciar perdere, da una parte come dall'altra". Sulla stessa pagina, lo storico Lucio Villari ha spiegato come la Resistenza sia stata combattuta dai liberali, dai monarchici e "soprattutto" dai cattolici, "ancor più che dai comunisti". E chiunque conosca un po' la storia della Resistenza italiana - anche poco poco: un minimo - si domanda come sia diventato possibile spararle così grosse. Senza discernimento. Senza contraddittorio. Senza vergogna".
Come detto, esiste dunque una tendenza a porre sullo stesso piano nazifascisti e partigiani ed è presente, e va sempre più radicandosi, l'idea (vedi le esternazioni dell'on. Dell'Utri) che ci sia stata una mitizzazione della Resistenza. Su questo tema, riporto un'utile "delucidazione" tratta dal libro di Aldo Mori "La Resistenza nel mondo contadino" Nuovadimensione 2007:
"Circa l'accusa diffusa di una mitizzazione del fatto resistenziale, anche questo un classico della critica alla storiografia resistenziale, va ribadito che gli studiosi seri non hanno mancato di rilevare che la Resistenza fu un evento complesso [...] cui approdarono giovani non assuefatti alla democrazia da vent'anni di dittatura, spesso smarriti, decisi tuttavia a negarsi a una guerra sanguinosa a fianco dei nazisti e al fascismo di Salò, animati dal desiderio di un'Italia diversa e più giusta. Furono questi giovani, pur nella loro varia e multiforme militanza, a dare il senso profondo di una svolta epocale rispetto al passato [...].
Se la violenza e la sofferenza coinvolsero, poi, pur se in misura diversa entrambi i fronti contrapposti, il che avviene sempre nelle vicende belliche, ciò non toglie che gli ideali per cui si combatteva nei due fronti erano opposti: da un lato il modello nazifascista, dall'altro la democrazia e la Costituzione".
La Resistenza e le vicende legate alla Liberazione sono ancora oggetto di studio da parte degli storici ed ogni interpretazione superficiale rischia di rivelarsi solo come una presa di posizione di tipo ideologico. E' quindi necessario documentarsi in modo più approfondito, anche attraverso la lettura di libri come quello di Aldo Mori, appena citato nel post, che presenta importanti testimonianze della Resistenza in un'area geografica ben definita. Questo permette una ricostruzione più vicina e più puntuale della verità storica, così necessaria per una lettura del passato che funga da guida per il nostro presente.
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