martedì 29 aprile 2008

Un nuovo sindaco per Roma!

Dal sindaco cinefilo al sindaco sportivo!

Le scodellatrici: figure professionali emergenti.

Sul Corriere della Sera del 28 aprile, Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella presentano il loro nuovo libro che si intitola "La deriva" e ci parlano di un'Italia che "sta rischiando il naufragio", per usare la loro espressione.
Il Corriere riporta alcune righe di anticipazione che mostrano un certo interesse degli autori per la scuola. In queste pagine si possono trovare denunce puntuali e documentate e tra le figure professionali di cui si occupa emerge quella della scodellatrice nelle scuole dell'infanzia.
Ma come nasce questo nuovo mestiere? Nasce dal protocollo d'intesa con i sindacati che esclude dal mansionario del collaboratore scolastico (il più conosciuto "bidello") compiti come il ricevimento dei pasti, la predisposizione del refettorio, la distribuzione dei pasti e lo "scodellamento", la pulizia dei locali ed eventualmente delle stoviglie dopo il consumo del pasto. Ma poiché questo tipo di lavoro va fatto, se non lo fanno i collaboratori scolastici, occorre trovare qualcuno che lo faccia. Ed ecco che nascono le scodellatrici, figure quasi sempre precarie, provenienti di solito da cooperative, che svolgono tutte le attività connesse alla refezione dei bambini.
Potrebbe anche sembrare una cosa sulla quale ridere, ma se facciamo due conti, smettiamo immediatamente: un Comune di media grandezza, con 2000 alunni cui dar da mangiare, spende per le "scodellatrici" 300.000 euro per anno scolastico.
L'articolo prosegue così:
"Una botta micidiale ai bilanci, per i Municipi: ci compreresti, per fare un esempio, 300 computer. Sulla Riviera del Brenta, tra Padova e Venezia, hanno provato a offrire dei soldi alle bidelle perché si facessero loro carico della cosa. Ottocento euro in più l’anno? «Ah, no, no me toca...». Mille? «Ah, no, no me toca...». Millecinque? «Ah, no, no me toca...». Ma ve lo immaginate qualcosa di simile in America, in Francia, in Gran Bretagna o in Germania? (...) E sempre lì torniamo: chi, se non la politica, quella buona, può guidare al riscatto un Paese ricco di energie, intelligenze, talenti straordinari, ma in declino? Chi, se non il Parlamento, può cambiare le regole che per un verso ingessano l’economia sul fronte delle scodellatrici e per un altro permettono invece agli avventurieri del capitalismo di rapina di muoversi impunemente con la libertà ribalda dei corsari? (...)"
Si passa poi ad elencare tutta una serie di privilegi economici di cui beneficiano i partiti politici (che vi risparmio, trattandosi di informazioni già note).

domenica 27 aprile 2008

25 Aprile: revisionismi e rovescismi

Sul Corriere della Sera di oggi, domenica 27 aprile, lo storico Sergio Luzzatto, docente di Storia Moderna all'Università degli Studi di Torino, commenta due dichiarazioni rilasciate in occasione del 25 Aprile da due storici, Piero Melograni e Lucio Villari.
Luzzatto, nei suoi scritti ed in particolare in "La crisi dell’antifascismo" Einaudi 2004, sostiene che, con l'avvento della Seconda Repubblica, si è avviata in Italia una smobilitazione ideologica che ha investito le fondamenta dell'identità nazionale, a cominciare dalla Resistenza, per proporre una sorta di nuovo patto fondativo basato sulla riconciliazione tra i nemici di ieri e sulla "condivisione" di storia e memoria. Una "equidistanza" tra brigate partigiane e brigate nere, tra anticomunismo e antifascismo. Luzzatto mette in discussione le premesse storiche, politiche ed etiche di questa logica, denunciando l'odierna diffusione della Vulgata post-fascista, che minimizza i crimini del Ventennio e argomentando l'attualità dell'antifascismo quale antidoto alle derive populiste, plebiscitarie e razziste.
La riflessione di Luzzatto ha come titolo
"Revisionismi e rovescismi":
"Sulla storia italiana del '900 si dice ormai di tutto. Quasi facendo a gara nel "revisionismo" o nel "rovescismo". Così riguardo al 25 Aprile, anniversario della Liberazione. Sul Corriere di domenica scorsa lo storico Piero Melograni ha sfondato la porta aperta (anzi apertissima: spalancata da anni) dei "miti" e della "retorica" di una Resistenza da "sfatare", per offrire alla destra come alla sinistra il consiglio dell'equidistanza e la morale dell'indifferenza: "meglio lasciar perdere, da una parte come dall'altra". Sulla stessa pagina, lo storico Lucio Villari ha spiegato come la Resistenza sia stata combattuta dai liberali, dai monarchici e "soprattutto" dai cattolici, "ancor più che dai comunisti". E chiunque conosca un po' la storia della Resistenza italiana - anche poco poco: un minimo - si domanda come sia diventato possibile spararle così grosse. Senza discernimento. Senza contraddittorio. Senza vergogna".
Come detto, esiste dunque una tendenza a porre sullo stesso piano nazifascisti e partigiani ed è presente, e va sempre più radicandosi, l'idea (vedi le esternazioni dell'on. Dell'Utri) che ci sia stata una mitizzazione della Resistenza. Su questo tema, riporto un'utile "delucidazione" tratta dal libro di Aldo Mori "La Resistenza nel mondo contadino" Nuovadimensione 2007:
"Circa l'accusa diffusa di una mitizzazione del fatto resistenziale, anche questo un classico della critica alla storiografia resistenziale, va ribadito che gli studiosi seri non hanno mancato di rilevare che la Resistenza fu un evento complesso [...] cui approdarono giovani non assuefatti alla democrazia da vent'anni di dittatura, spesso smarriti, decisi tuttavia a negarsi a una guerra sanguinosa a fianco dei nazisti e al fascismo di Salò, animati dal desiderio di un'Italia diversa e più giusta. Furono questi giovani, pur nella loro varia e multiforme militanza, a dare il senso profondo di una svolta epocale rispetto al passato [...].
Se la violenza e la sofferenza coinvolsero, poi, pur se in misura diversa entrambi i fronti contrapposti, il che avviene sempre nelle vicende belliche, ciò non toglie che gli ideali per cui si combatteva nei due fronti erano opposti: da un lato il modello nazifascista, dall'altro la democrazia e la Costituzione".
La Resistenza e le vicende legate alla Liberazione sono ancora oggetto di studio da parte degli storici ed ogni interpretazione superficiale rischia di rivelarsi solo come una presa di posizione di tipo ideologico. E' quindi necessario documentarsi in modo più approfondito, anche attraverso la lettura di libri come quello di Aldo Mori, appena citato nel post, che presenta importanti testimonianze della Resistenza in un'area geografica ben definita. Questo permette una ricostruzione più vicina e più puntuale della verità storica, così necessaria per una lettura del passato che funga da guida per il nostro presente.

sabato 26 aprile 2008

Sul 25 Aprile


In ritardo di un giorno, per celebrare il 25 Aprile:

"Il 25 aprile ha segnato non solo la fine della guerra, ma la fine del fascismo. (...) Oggi non è più dato per scontato che i fascisti fossero un gruppo di criminali al governo. (...) Il fascismo in Italia ha costituito vent'anni di repressione totale e se vogliamo rivalutare il fatto che durante il fascismo i treni arrivavano in orario, beh... forse era meglio che Mussolini facesse il ferroviere (...) Se oggi, a distanza di mezzo secolo, ci sono candidati con la croce celtica al collo che non solo non rinnegano, ma vanno fieri della loro appartenenza agli ideali del fascismo, vuol dire che il meccanismo della memoria non ha funzionato. (...) In questi anni si è passati da un concetto nostalgico di memoria - si stava meglio quando si stava peggio, il passato è meglio del presente - ad un concetto opposto, "consolatorio", per cui il passato è sempre peggio del presente, oggi ci siamo emancipati da quella grande violenza e dobbiamo ricordare le tragedie del passato per non ripeterle in futuro. Ma questo è un concetto molto pericoloso, perché - come dimostrano i genocidi in Bosnia e in Ruanda - non funziona. (...) Noi siamo la prima generazione in questo Paese che si batte non per conquistare nuovi diritti, ma affinché non ci vengano tolti quelli conquistati dalle generazioni precedenti (...)".
Ascanio Celestini
Guarda il video:
Ed ecco alcune lettere di condannati a morte della Resistenza italiana.
Le lettere selezionate sono tratte dai libri di Malvezzi e Pirelli ("Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana", Einaudi, Torino 1994, quindicesima edizione) e di Avagliano e Le Moli ("Muoio innocente. Lettere di caduti della Resistenza a Roma", Mursia, Milano 1999).
Questo il link:

Quale ministro per la Pubblica Istruzione?

Sarà, forse, Maria Stella Gelmini il nuovo Ministro.
Sulla rivista La Tecnica della Scuola del 24 c.m., si parla di Maria Stella Gelmini come fututo ministro dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca.
Dopo i nomi di Aprea, Formigoni, Prestigiacomo e Bondi adesso spunta quello di Maria Stella Gelmini: e questa volta potrebbe essere quello giusto.
Chi é la sig.ra Gelmini?
Trentacinquenne, bresciana, avvocato, sostenitrice di Silvio Berlusconi fin dal 1994; se diventasse Ministro della Pubblica Istruzione, sarebbe il più giovane titolare del Dicastero di Viale Trastevere che si sia avuta in Italia.
Di lei si dice che sia l’astro nascente della politica lombarda; eletta alla Camera nel 2006 nelle liste di Forza Italia è stata riconfermata nella recente tornata.
Il “cursus honorum” di MariaStella Gelmini, ci informa l'articolo, è di tutto rispetto: nel 1998, a soli 25 anni, viene eletta consigliere comunale a Desenzano dove ricopre l’incarico di presidente del consiglio comunale.
Nel 2002 diventa assessore al territorio della Provincia di Brescia, nel 2004 passa all'Agricoltura. Nel 2005 viene candidata alle elezioni regionale e risulta la prima eletta nella circoscrizione di Brescia con più 17mila preferenze.
Il mese successivo, Silvio Berlusconi la nomina coordinatrice regionale di Forza Italia in Lombardia, carica che ricopre tuttora.
Nel 2006 viene eletta alla Camera e, forte delle sue competenze in campo giuridico, diventa membro della Giunta per le autorizzazioni a procedere, del comitato parlamentare per i procedimenti di accusa e della commissione Giustizia.
Chi la conosce ne parla come di una donna decisa e determinata ma anche aperta al confronto.
La candidatura della giovane bresciana potrebbe andare in porto anche per un altro motivi: i rapporti con Valentina Aprea sono ottimi e – a quanto dicono coloro che le conoscono entrambe – improntati a grande stima reciproca.
Nessun rischio, dunque, che si creino situazioni di conflittualità, come, almeno in parte, era accaduto all’epoca di Letizia Moratti.
Per ora, comunque, si tratta ancora di voci ampiamente ufficiose: i nodi da sciogliere sono ancora numerosi e nei prossimi giorni potrebbero ancora spuntare nuovi nomi.
La prossima settimana avremo finalmente il nome del nuovo Ministro. Non ci resta che ... attendere, sperando che non si debba dire "Non ci resta che... piangere".

domenica 20 aprile 2008

Quale ministro per la Pubblica Istruzione?


A una settimana dalle elezioni, le ipotesi sul nuovo ministro per la Pubblica Istruzione, l'Università e la Ricerca, si susseguono. Ogni giorno appare sui giornali un nuovo ministro (si sa, le caselle del Totoministri sono facilmente intercambiabili e poi é anche più divertente della Settimana Enigmistica!) ed i criteri per la scelta appaiono sempre più legati alle logiche spartitorie piuttosto che alla competenza e al merito.
Non siamo in grado di prevedere quale sarà la scelta finale del Capo del Governo, ma possiamo intanto leggere questa riflessione del prof. Maurizio Tiriticco dell'Università Roma Tre, con la speranza che le sue parole non cadano nel vuoto:

http://www.gildavenezia.it/docs/Archivio/2008/apr2008/ascolti.pdf

Chiuso per...viaggio di istruzione



Da lunedì 21 a giovedì 24 aprile nessun post.
Sono in viaggio di istruzione a Roma con 18 ragazzi.

Ecco una breve poesia del poeta romano Trilussa:

"Romanità"
Un giorno una Signora forastiera,
passanno còr marito sotto l'arco de Tito,
vidde una Gatta nera spaparacchiata fra l' antichità.
-Micia che fai?- je chiese:
e je buttò un pezzettino de biscotto ingrese;
ma la Gatta, scocciata, nu' lo prese: e manco l'odorò.
Anzi la guardò male e disse con un' aria strafottente:
Grazzie, madama, nun me serve gnente:
io nun magno che trippa nazzionale!

Memo: Presentazione libro "Necropoli"

Vai al post del 16 aprile

sabato 19 aprile 2008

Il counseling scolastico



Dalla lettura di un articolo della prof.ssa A. M. Volpicella, professore associato dell'Università di Bari, una rflessione sul Counseling scolastico.
Nella nostra società si vanno sempre più intensificando forme di disagio che toccano adolescenti e giovani, ma anche bambini, che manifestano il loro malessere attraverso comportamenti che vanno da forme di violenza distruttiva e autodistruttiva per arrivare a fughe dalla realtà attraverso dipendenze di vario genere o a interruzione di flussi comunicativi con l'esterno. La scuola si trova a interagire con questi soggetti e questo richiede forme di intervento sempre più complesse che non si esauriscono esclusivamente nell'ambito scolastico. L'esigenza di prevenire il disagio e di rappresentare un punto di riferimento significativo dell'universo giovanile, ha portato la scuola a ricercare nuove modalità per favorire il benessere e per arginare le derive distruttive, causate da crescente malessere. Una delle modalità attivate dalla scuola è il "counseling scolastico" che, come afferma l'autrice dell'articolo "si struttura come relazione di aiuto non direttiva, fondata su un ascolto attivo ed empatico che, in un clima di attenzione e rispetto, pone al centro l'allievo con la sua singolare storia di vita, valorizzandone le potenzialità di cambiamento". Il termine counseling viene dal latino consilium che significa giudizio / consultazione: counseling va inteso come consulenza, forma di rapporto interpersonale in cui un individuo che ha un problema, ma non possiede le conoscenze o le capacità per risolverlo, si rivolge a un altro individuo (in questo caso il docente) che, grazie alla propria esperienza e preparazione è in grado di aiutarlo a trovare una soluzione. Il counseling non si pone come pratica di tipo terapeutico ma piuttosto come uno strumento psicopedagogico che può aiutare il giovane a superare le paure legate a crisi di identità e la sensazione di incapacità e di inadeguatezza di fronte ai problemi e alle difficoltà. Non è altro che una relazione tra due persone, una delle quali funge da "incoraggiatore", opera da facilitatore, per permettere alla persona di fare delle scelte in modo autonomo, assecondando i suoi personali gusti e sollecitando la sua responsabilità. Il counseling scolastico, ha lo scopo di "attivare il potenziale di sviluppo cognitivo ed emozionale che molto spesso rischia di rimanere sottoutilizzato". Il primo sostenitore e divulgatore del counseling è stato, in epoca moderna, C. Rogers (anni Cinquanta), che ha sviluppato una teoria di consulenza e una terapia di psicoterapie che si è posta come alternativa alla psicoanalisi e alla psicoterapia psicoanalitica. La proposta di Rogers prende il nome di "terapia non direttiva" e ha, come presupposto teorico "l'ottimismo motivazionale per il quale il bisogno di autorealizzazione è l'unica fonte energetica del comportamento umano". Attraverso il counseling scolastico, possono essere affrontati problemi legati alle difficoltà di apprendimento, all'iperattività e a comportamenti violenti o aggressivi che hanno, come diretta conseguenza, un disadattamento scolastico. Inoltre, il counseling scolastico risulta importante nel campo dell'orientamento, sia scolastico sia professionale e nell'individuazione di problematiche non risolvibili all'interno dell'istituzione scolastica, con predisposizione di contatti con strutture del territorio idonee ad affrontarli. Volendo fare una sintesi, possiamo affermare che tramite il counseling è possibile:


1) Promuovere una cultura della prevenzione, per sviluppare il miglioramento della qualità della vita degli alunni, per attivare misure che modifichino positivamente i loro comportamenti ma anche il loro stile di vita. Inoltre, deve facilitare il processo di crescita individuale e quello di gruppo sotto l'aspetto relazionale e della libera espressione emotiva. Attraverso queste modalità , la scuola può contribuire a contrastare e prevenire le varie forme di disagio giovanile, le difficoltà legate al delicato periodo adolescenziale e i comportamenti a rischio come l'anoressia, la bulimia, i disturbi dell'apprendimento, la dispersione scolastica, gli stati depressivi e le dipendenze da alcool (fenomeno sempre più diffuso), fumo e droghe.
2) Favorire il clima scolastico, creando un clima di relazioni che aiuti la crescita personale e un sereno apprendimento degli alunni. Per riuscire in questo intento occorre un confronto positivo e aperto tra gli studenti e tra gli studenti e gli adulti, dove la comunicazione e la relazione siano basate sull'autenticità, il rispetto dell'altro e la responsabilità individuale. Si deve essere capaci di sviluppare nei ragazzi un senso di appartenenza alla propria scuola e al proprio gruppo classe, si deve favorire la collaborazione e la solidarietà, promuovendo sentimenti di accettazione e di riconoscimento reciproco, bisogna educare all'autostima e alla valorizzazione personale, al lavoro di gruppo, offrendo modelli positivi e stimolando abilità pro-sociali.
3) Diffondere una sensibilità psicologica, poiché lo psicologo nella scuola non deve offrire solo colloqui o consulenze psicologiche specialistiche, ma lavorare anche per favorire negli studenti, negli insegnanti, nel personale non docente e nelle famiglie, la conoscenza dei processi legati alle età evolutiva, la costruzione di relazioni significative, lo sviluppo di competenze relazionali e comunicative
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venerdì 18 aprile 2008

Filosofia per tutti

“La Filosofia in quarantadue favole” è un piccolo libro che parla di Filosofia. Il suo autore, Ermanno Bencivenga, professore di Filosofia all’Università della California (Irvine), utilizza un linguaggio insolito come quello delle favole, per introdurci alle domande che, da sempre, la Filosofia si pone. Prima di questo, nel 1991, Bencivenga ha scritto “La Filosofia in trentadue favole” che ha riscosso, come testo di divulgazione filosofica, un grande successo di pubblico.
Quando un giornalista ha chiesto all’autore perché scrivere favole per parlare di Filosofia, egli ha risposto:
"Ho sempre sostenuto che il filosofo per antonomasia può essere il bambino. E’ quello che si fa domande impertinenti, trova le storie più strampalate, esplora e rischia più di chiunque altro. Il vero filosofo, per me, è un bambino che non è cresciuto, che ha mantenuto lo stesso coraggio del bambino avendo acquisito anche qualche strumento in più. Se invece la filosofia si sedimenta sulla competenza accademica e sui gerghi specialistici, muore e perde la sua forza propulsiva".
Ecco, di seguito, una delle quarantadue favole:

C’ero una volta io
C’ero una volta io, ma non andava bene. Mi capitava di incontrare gente per strada e di scambiarci due parole, e per un po’ la conversazione era simpatica e calorosa, ma arrivava sempre il momento in cui mi si chiedeva “Chi sei?” e io rispondevo “Sono io”, e non andava bene. Era vero, perché io sono io, è la cosa che sono di più, e se devo dire chi sono non riesco a pensare a niente di meglio. Eppure non andava bene lo stesso: l’altro faceva uno sguardo imbarazzato e si allontanava il più presto possibile. Oppure chiamavo qualcuno al telefono e gli dicevo “Sono io”, ed era vero, e non c’era un modo migliore, più completo, più giusto di dirgli chi ero, ma l’altro imprecava o si metteva a ridere e poi riagganciava.
Così mi sono dovuto adattare. Prima di tutto mi sono dato un nome, e se adesso mi si chiede chi sono rispondo: “Giovanni Spadoni”. Non è un granché, come risposta: se mi si chiedesse chi è Giovanni Spadoni probabilmente direi che sono io. Ma, chissà perché, dire che sono Giovanni Spadoni funziona meglio. Funziona tanto bene che nessuno mai mi chiede chi è Giovanni Spadoni: si comportano tutti come se lo sapessero.
Invece di chiedermi chi è Giovanni Spadoni gli altri mi chiedono dove e quando sono nato, dove abito, chi erano mio padre e mia madre. Io gli rispondo e loro sono contenti. E forse sono contenti perché credono che io sia quello che è nato nel posto tale e abita nel posto talaltro, e che è figlio di Tizio e di Caia e padre di questo e di quello. Il che non è vero, ovviamente: non c’è niente di speciale nel posto tale o talaltro, o in Tizio o in Caia. Se fossi nato altrove, in un’altra famiglia, sarei ancora lo stesso, sarei sempre io: è questa la cosa che sono di più, la cosa più vera e più giusta che sono. Ma questa cosa non interessa a nessuno: gli interessa dell’altro, e quando lo sanno sono contenti.
Una volta c’ero io, e non andava bene. Adesso c’è Giovanni Spadoni, che è nato a X e vive a Y e così via. E io non sono niente di tutto questo, ma le cose vanno benissimo.
E. Bencivenga, La filosofia in quarantadue favole, Oscar Saggi Mondadori

mercoledì 16 aprile 2008

Incontro con l'autore: Boris Pahor. Un libro per non dimenticare



In occasione del 25 Aprile, il Comune di Ceggia ha organizzato un incontro con l'autore del libro "Necropoli", Boris Pahor. Triestino di nascita, ha collaborato con la Resistenza antifascista slovena e ha vissuto l'inferno dei campi di concentramento nazisti. Il suo luogo di prigionia si trovava nei Vosgi, a Natzweiler-Struthof e in quel campo, Pahor ha vissuto giorni drammatici segnati dalla violenza e dall'orrore. Per una crudele ironia della sorte, Pahor e gli altri sloveni di Trieste e del Carso verranno schedati nel lager come italiani, ma é proprio l'alleanza dei fascisti italiani con la Germania nazista che sta all'origine del loro inferno. Afferma Pahor "Noi sloveni del litorale affermavamo ostinatamente di essere jugoslavi. Il cuore e la mente si ribellavano al pensiero di essere eliminati come appartenenti a una nazione che, alla fine della prima guerra mondiale, aveva sempre tentato di assimilare gli sloveni e i croati". Il libro é un ritratto a tutto tondo della vita, o per definirla come l'autore, della non-vita (quasi della morte) nel lager. Claudio Magris, che ne ha curato la Presentazione, sostiene che "é un'opera magistrale [...] anche per la sua limpida sapienza strutturale, per l'intrecciarsi dei tempi, verbali ed esistenziali, che intessono il racconto. Necropoli, annoverato da decenni fra i capolavori della letteratura dello sterminio, è un libro eccezionale, che riesce a fondere l’assoluto dell’orrore – sempre qui e ora, presente e bruciante, eterno davanti a Dio – con la complessità della storia, la relatività delle situazioni e i limiti dell’intelligenza e della comprensione umana.” Con uno stile asciutto, senza sbavature, con un linguaggio a volte duro, ma che ben si addice a una realtà così atroce, l'autore ci accompagna in questo viaggio nell'orrore, senza mai perdere la sua umanità, la sua integrità e la sua forza, la stessa che gli ha permesso di sopravvivere alla prigionia. Un viaggio per non dimenticare, per testimoniare la ferocia e la miseria dell'uomo, ma anche, quasi in un estremo tentativo di riscatto del suo destino, la dignità, la capacità di non farsi annientare da questa ondata di Male assoluto. Pahor, sopravvissuto nonostante il passaggio all'inferno, non nasconde e non nega "la colpa metafisica di aver lasciato in quell'inferno tanti compagni" e proprio perché consapevole della dimensione tragica dell'esperienza, teme che il tempo, l'oblio e il mutare della vita rendano meno vivido il colore della dannazione, che appannino la sua assolutezza, facendola quasi rientrare nel divenire della natura. Egli vorrebbe che la dannazione e i segni da essa lasciati restassero come delle cicatrici incancellabili sul corpo della storia e dell'umanità.
Boris Pahor, Necropoli, Fazi Editore
Sala del Consiglio comunale, Piazza 13 Martiri, CEGGIA VE
Lunedì 21 aprile 2008 ore 18.30

martedì 15 aprile 2008

Istruzione Tecnica Superiore

Riorganizzazione istruzione tecnica superiore
E' stato pubblicato in Gazzetta ufficiale il Dpcm che, nell’ambito dei percorsi post scolastici, ridefinisce l’organizzazione del sistema dell’Ifts e traccia le linee guida per la costituzione degli Its.
Il
Dpcm 25 gennaio 2008, che riguarda la riorganizzazione dell’istruzione e formazione tecnica superiore (Ifts) e la costituzione degli istituti tecnici superiori (Its), è stato riportato sulla G.U. n. 86 - Serie generale dell’11/4/2008.
Viene dunque ridefinito, su proposta del Ministero della pubblica istruzione, di concerto con il Ministero del lavoro e della previdenza sociale e con il Ministero dello sviluppo economico, e nel rispetto delle competenze delle regioni, il sistema dell’istruzione tecnica post secondaria.
Nell’ambito dell’Ifts sono previsti percorsi di durata annuale finalizzati al conseguimento di un diploma di specializzazione tecnica superiore, che continuano a svilupparsi nell’ambito di piani territoriali; gli Its proporranno percorsi di durata biennale (in alcuni casi si potrebbero avere percorsi triennali) per la formazione di “tecnici superiori”, con riferimento alle seguenti aree tecnologiche: efficienza energetica; mobilità sostenibile; nuove tecnologie della vita; nuove tecnologie per il made in Italy; tecnologie innovative per i beni e le attività culturali; tecnologie della informazione e della comunicazione.
Gli Its, resi operativi sulla base di di specifici piani territoriali, si configurano come “fondazioni di partecipazione” che, pur mantenendo una distinta e autonoma soggettività giuridica, hanno come istituzioni di riferimento gli istituti tecnici e professionali.
Il suddetto decreto del presidente del consiglio dei ministri rappresenta anche un atto di indirizzo per favorire la realizzazione dei poli tecnico-professionali, che si pongono come modello di collaborazione tra gli istituti tecnici e professionali, le struttura formative accreditate ed il mondo delle professioni e del lavoro. Nel Dpcm è evidenziato che sino all’adozione dei provvedimenti di cui all’articolo 13, comma 1, della legge n. 40/2007, le misure per facilitare lo sviluppo dei poli tecnico-professionali hanno carattere sperimentale.
Intanto, lo scorso 10 aprile si è riunito il Comitato nazionale per gli Ifts, che ha proposto di realizzare, nel mese di giugno, una conferenza nazionale di servizio. E’ previsto che entro settembre si concluda in Conferenza unificata Stato-regioni l’accordo di articolazione dei settori di intervento riferito alle aree di sviluppo definite nel Dpcm.Un fatto è certo: la costituzione e lo sviluppo dei percorsi di istruzione tecnica superiore vanno garantiti in ogni regione da adeguate risorse.
La Tecnica della Scuola 15/04/2008

I dati sugli Esami 2007

Il Ministero della Pubblica Istruzione ha diffuso i dati sui risultati di eccellenza conseguiti dagli studenti candidati all'esame di Stato 2007 e in manifestazioni competitive di vario genere tra alunni di regioni e nazionalità diverse.
Emerge che all’Esame di Stato del 2007, 3.026 ragazzi (su 449.693, pari al 6,5 per mille del totale) hanno preso 100 e lode, e 1.370 hanno riportato risultati di eccellenza in vari confronti regionali, nazionali ed internazionali.
Il secondo dato è il risultato anche di un incremento degli studenti che hanno preso parte ad olimpiadi e competizioni di vario genere, grazie anche ad una maggiore partecipazione delle scuole e dei docenti, favorita da una legge, la n. 1/2007,
che per la prima volta prevede la valorizzazione delle eccellenze, finalizzata a migliorare la qualità dell’offerta formativa delle scuole e ad innalzare i livelli di apprendimento degli studenti”.
Molti studenti si sono distinti nell’informatica, nella matematica e in chimica, ma anche in latino e nella danza; 14 tra essi hanno anche vinto gare a livello internazionale.
Le diverse gare nazionali e internazionali riscuotono un interesse sempre maggiore sia da parte delle scuole sia da parte dei singoli studenti.
Alle Olimpiadi di matematica, per esempio, la partecipazione è passata da 1.666 a 1.728 scuole. Alle gare del “Kangourou” di matematica la partecipazione è passata dalle 480 scuole del 2007 alle 705 scuole di quest’anno (gli studenti sono passati da 36mila a 47mila).
Le Olimpiadi di scienze naturali hanno registrato nel 2006 la partecipazione di circa 280 scuole, aumentate a 320 nel 2007 e a 403 nel 2008.
Interessanti i risultati circa la distribuzione territoriale dei 100 e lode: le regione da cui escono voti più alti sono la Calabria (12 per mille del totale), la Puglia e l’Emilia Romagna (11 per mille del totale).
Buone percentuali si registrano anche in diverse regioni dell’Italia Centrale: nelle Marche e in Umbria 9 studenti su 1000 hanno conseguito la lode, in Toscana ci si assesta intorno all’ 8 per mille.
Le percentuali più alte di studenti premiati in gare nazionali o internazionali si registrano nel Friuli (21 su 1000), in Emilia Romagna e in Trentino (17 su 1000) e nel Veneto (16 su 1000)
Fanalini di coda in questa speciale classifica sono invece le due regioni più piccole, il Molise e la Valle d'Aosta, con il 2 per mille di 100 e lode sul totale degli studenti diplomati (6 su 2.885 in Molise e uno solo su 653 in Valle d'Aosta).
I nominativi degli studenti diplomati con 100 e lode e vincitori delle competizioni nazionali e internazionali sono inseriti dall'anno scorso in un apposito Albo consultabile sul sito dell'Agenzia nazionale per l'autonomia scolastica
www.indire.it/eccellenze

lunedì 14 aprile 2008

Elezioni 2008

Elezioni 13-14 aprile 2008 - Lo scrutinio

Ecco i link del Ministero dell'Interno e del quotidiano la Repubblica, per seguire l'andamento dello scrutinio dei voti:
http://politiche.interno.it/


http://www.repubblica.it/speciale/2008/elezioni/camera/index.html

domenica 13 aprile 2008

Elezioni 2008




Andiamo a votare!



Da La Repubblica.it, un commento di Eugenio Scalfari sulle elezioni.
Per leggere clicca su:

http://www.repubblica.it/2008/04/sezioni/politica/verso-elezioni-21/verso-elezioni-21/verso-elezioni-21.html

Dal sito adnkronos, le istruzioni per il voto:
http://www.adnkronos.com/IGN/Politica/?id=1.0.2032608043


anche cliccando su questo link, si possono trovare informazioni utili:

http://www.ioscelgo.it/

giovedì 10 aprile 2008

L'educazione permanente: educare nell'età adulta.

Da un articolo di Isabella Loiodice, professore ordinario di Pedagogia all'Università di Foggia, una riflessione sull'educazione degli adulti nella prospettiva dell'educazione permanente.

Il Consiglio di Lisbona, nel 2000, ha elaborato un documento in cui si affermava che l'obiettivo strategico per l'Europa, era quello di "diventare l'economia fondata sulla conoscenza più competitiva del mondo". A seguito di tale pronunciamento, l'Unione Europea, si è impegnata a fare un investimento nell'Istruzione e nella Formazione, come leve strategiche per raggiungere l'obiettivo desiderato. Tale indirizzo non può che tradursi in un'apertura e in una promozione dell'apprendimento permanente che diventa strumento per garantire un'esistenza dignitosa per i cittadini, a partire dal diritto al lavoro per arrivare ai diritti di cittadinanza, di coesione sociale, ecc. L'autrice dell'articolo afferma che un impegno di questa natura, ha come conseguenza che l'UE deve farsi carico di "rimuovere tutti gli ostacoli che si frappongono al soddisfacimento di tali diritti", e che questi ostacoli sono di natura sia oggettiva sia soggettiva e derivano da situazioni svantaggiate dal punto di vista fisico, economico, intellettuale o culturale e da barriere sociali etiche, religiose e culturali. L'esigenza di superare queste barriere e queste situazioni, nasce dalla constatazione che, come si rileva dalle indagini sulla povertà (in Italia), la condizione di indigenza materiale si accompagna a bassi livelli di alfabetizzazione. Una persona su cinque rientra nella fascia di povertà se non ha alcun titolo di studio o se possiede la sola licenza elementare, mentre rientra nella stessa fascia solo una persona su venti se ha un titolo di studio più elevato.
La società globalizzata, anche sul versante dei saperi e delle informazioni, richiede adulti consapevoli, capaci e preparati ad affrontare e fronteggiare i cambiamenti che avvengono durante la vita, in modo critico e costruttivo. Per questa ragione, l'istruzione e la formazione che la scuola offre nella prima parte della vita, può rivelarsi insufficiente ed é quindi richiesta un'educazione che abbracci anche il periodo dell'età adulta. E' infatti in questo periodo della vita che, a differenza di quanto accadeva sino ad alcuni anni fa, si incontrano situazioni legate a trasformazioni e precarietà che "scompaginano sistemi di vita, di saperi e di valori prima caratterizzati da stabilità e certezza". Gli studi sull'età adulta hanno messo in rilievo la molteplicità e la multiformità, oltre ad una certa contraddittorietà, della condizione adulta, a partire dalla consapevolezza che "il cambiamento", come categoria esistenziale, é una componente presente in questo periodo e rende questa età più problematica e più conflittuale "ma anche più dinamica, attiva e progettuale". L'età adulta sta diventando sempre più "discontinua e reversibile" tanto da richiedere necessariamente un contatto stretto e continuo con la conoscenza, l'apprendimento e la formazione. Al diritto alla conoscenza ed alla formazione, si affianca quello al benessere psicologico ed emozionale, nell'ottica di favorire le condizioni minime di eguaglianza in una società in cui i progressi tecnologici, il moltiplicarsi delle diverse forme dei sapere e le richieste sempre più pressanti di competenze professionali di alto livello, richiedono a ciascuno un repertorio di conoscenze quantitativamente e qualitativamente, sempre più elevato.
Occorre dire, però, che la "quantità" non é, tout court, un elemento significativo e sufficiente; si pone, invece, un problema di qualità e organizzazione di queste conoscenze che non possono essere né episodiche, né parziali e devono essere anche capaci di generare e promuovere "competenze di tipo strategico e trasversale rispetto ai differenti ambiti di vita e di esperienza".
Si parla allora di life skills (le competenze per la vita) che sono intese come "generale capacità di progettare e di agire, alla rapidità nell'analizzare problemi, nel prendere decisioni, nell'elaborare ipotesi, nel saperle sperimentare, convalidare o rettificare, nel condividerle con altri in situazioni sempre meno strutturate e definite e sempre più mutevoli e complesse". Ciò che emerge é dunque una forte esigenza di disporre di occasioni formative di alto livello, capaci di soddisfare la variegata domanda formativa, sia di alfabetizzazione in senso stretto, sia dei contesti di vita, che permettano agli adulti di muoversi agevolmente dentro una società nuova, disorientante ma anche ricca di occasioni di crescita intellettuale, culturale e valoriale.

mercoledì 9 aprile 2008

Esami di Stato 2008


Il Ministero della Pubblica Istruzione ha diffuso ieri i dati relativi ai candidati per gli esami di Stato 2008: saranno 496.637 gli studenti candidati, gli esterni (i privatisti), saranno 24.885 (il 5% del totale) con una diminuzione, rispetto all’anno precedente, di 6.412 (erano il 6,3%) e di ben 11.417 rispetto a due anni fa, quando ancora c’era la vecchia normativa ed i candidati che si presentavano da privatisti rappresentavano il 7,1 %.
Non ci sono quasi più gli studenti chiamati “ottisti”, (solo 86 contro i 1.667 del 2006 ed i 146 del 2007), quelli che arrivano all’esame avendo riportato 8 in ciascuna materia al quarto anno e 7 in ogni materia nei due anni precedenti, ma aumentano le donne e gli stranieri. Per quanto riguarda il tipo di scuole che forniranno il maggior numero di aspiranti maturandi, al primo posto troviamo, come gli altri anni, gli istituti tecnici con 187.748 candidati (il 37,8% del totale), seguiti dai licei scientifici con 106.557 (21,5%), gli istituti professionali con 84.415 (17,0%), i licei classici con 54.094 (10,9%), le ex magistrali con 40.886 (8,2), gli artistici e gli istituti d'arte con 18.540 (3,7%), i linguistici con 4.397 (0,9%).
Le donne sono il 51% del totale, ma la differenza diventa sensibile a seconda del tipo di diploma: nei tecnici le donne sono solo il 36% e nei professionali il 45%, nei licei, le ragazze diventano la maggioranza con il 64% (68% in quegli artistici e negli istituti d'arte). Le ragazze hanno anche avuto percorsi scolastici più soddisfacenti: dei 140.000 alunni in ritardo i maschi sono 85.000 e le femmine 55.000.
I candidati stranieri saranno 12.000 (contro i 9.000 dell'anno scorso) e di questi, il 75% cercherà di conseguire un diploma tecnico o professionale. Sono rappresentati ragazzi di 166 paesi: 42 europei ( 19 dell’Unione e 23 non dell’Unione), 47 africani, 28 americani, 40 asiatici, 9 dell’Oceania (c’è anche un apolide). La nazione più rappresentata continua ad essere l’Albania con 1.700 candidati, poi la Romania con 1.500 (circa il doppio rispetto a quelli dello scorso anno), 800 sono i ragazzi del Marocco, 650 i peruviani, 600 i tedeschi e 300 alunni provengono dalla Cina e dalla Svizzera. A differenza dei loro compagni italiani, circa tre quarti degli stranieri sosterrà l’esame di Stato con uno o più anni di ritardo, infatti i diciannovenni sono solo il 27,4%. Gli alunni diversamente abili che affronteranno l'esame di Stato saranno infine 6.000, tra questi circa 300 con minorazione dell’udito e 52 non vedenti.

lunedì 7 aprile 2008

Aboliamo il recupero degli asini


Da La Stampa.it del 7/4/2008 un articolo di Paola Mastrocola (La scuola raccontata al mio cane) in cui l'autrice parla dei corsi di recupero attivati nelle scuole in questi ultimi mesi. Con la solita vena di ironia che caratterizza i suoi scritti, ci induce ad una riflessione e ci strappa un sorriso... amaro, però.
Ecco l'articolo:
Scuola, aboliamo il recupero degli asini
In questi mesi le scuole italiane sono impegnate nella «Missione Recupero». Credo che tutti lo sappiano perché se n'è parlato molto da dieci anni a questa parte: il recupero fu introdotto dal ministro Berlinguer, fu conservato mirabilmente intatto dal ministro Moratti ed è ora più che mai voluto, sostenuto e moltiplicato dal ministro Fioroni; è quindi un concetto - nonché una legge - che transita beatamente da un governo all'altro, di qualsivoglia colore politico esso sia. Credo altresì che tutti non possano che essere d'accordo sull'opportunità di recuperare gli allievi: per una ragione molto semplice, che la parola recupero è una bellissima parola! Rimanda a nobilissimi sentimenti di umanità e fratellanza. Chi mai potrebbe dire, infatti, che non è bene recuperare - cioè salvare - qualcuno o qualcosa? È bene recuperare relitti in fondo al mare, recuperare fondi e refurtive, recuperare l'uso di un arto… A maggior ragione, è bene, anzi, benissimo recuperare ragazzi in difficoltà nello studio. Credo però, anche, che nessuno (se non un'esigua minoranza) sappia veramente che cosa sia nella sostanza il recupero. E quindi vorrei provare a raccontarlo. Partiamo da un allievo, ad esempio di prima liceo, che prenda quattro di italiano per quattro mesi di fila. Lo chiameremo Giovanni.Giovanni prende quattro perché non sa l'analisi logica. Davanti alla frase «Si vedono gabbiani al mare», egli scrive:
Si: soggetto
vedono: predicato verbale
gabbiani: complemento oggetto
al mare: complemento di termine.
Piccola parentesi: potremmo chiederci perché Giovanni non sa l'analisi logica. Forse alle elementari e alle medie la grammatica non va più di moda, l'hanno abolita e si son dimenticati di dircelo? Oppure sono i ragazzi che non la studiano, o dimenticano all'istante quel che (labilmente) studiano? Nel qual caso, perché mai sono arrivati fino al liceo? Domanda oziosa: c'è la scuola dell'obbligo. Come potremmo obbligarli ad andare a scuola e nello stesso tempo, solo perché non studiano, cacciarli dalla scuola? Fine della parentesi. Ma non importa: i ragazzi arrivano digiuni di grammatica e noi, buoni buoni, alle superiori gliela insegniamo daccapo, come se nulla fosse mai stato prima. Nessun problema, siamo gente responsabile, ci mancherebbe! Rispieghiamo tutto a Giovanni, dall'articolo in poi. Ma Giovanni continua a prendere quattro.
Si: soggetto;
gabbiani: complemento oggetto.
Oibò! Che fare? Ecco che scatta il magico recupero! Ci travestiamo da agenti in missione speciale (calzamaglia blu con R cubitale sul petto e mantello rosso) e recuperiamo Giovanni! In due possibili modi.
Modo A: interrompiamo le lezioni del mattino, sospendiamo i programmi e ripetiamo per la centoquarantesima volta che differenza c'è tra soggetto e complemento oggetto.
Modo B: diciamo a Giovanni di venire al pomeriggio e facciamo a lui e a tutti i Giovanni delle altre classi un corso supplementare. Ottenendo i seguenti risultati: con il modo A, obblighiamo tutti gli altri allievi, anche quelli bravi e studiosi che prendono 10 in grammatica, a ristudiare gli articoli non insegnando loro nulla di nuovo e più difficile; con il modo B, occupiamo il tempo pomeridiano di Giovanni, che egli dovrebbe passare, finalmente!, a studiare. Già, perché è inutile centuplicare le ore di lezione, se poi uno non apre un libro! Il sapere non passa ancora così, via etere, wireless o con altra diavoleria elettronica. Giovanni quindi, dopo la prima dose di recupero, continua a prendere quattro. E siamo ad aprile. Dobbiamo ora iniziare la seconda dose, e poi una terza, una quarta e via così fino ad agosto, fino alla prova finale, detta un tempo «esami di riparazione». Ed è qui che mi nasce la domanda: siamo sicuri che la scuola debba diventare un recuperificio? Siamo sicuri che l'Italia debba pagare così tanto denaro pubblico perché Giovanni si ostina a non aprire un libro? (ogni ora di recupero è pagata 50 euro e, così a naso, i Giovanni di ogni singola classe si aggirano tra il 30 e il 50 per cento). Ma soprattutto, pensiamo davvero che faccia bene ai ragazzi essere così tanto imboccati, pedinati, inseguiti e perseguitati: in una parola, recuperati? Non dovrebbe esserci un tempo in cui gli insegnanti, dopo avere svolto e ri-svolto con professionalità e passione gli argomenti del programma, li lascino finalmente soli a rispondere delle loro azioni o non azioni? Non dovremmo esigere che diventino responsabili dei loro insuccessi? Responsabili e liberi, anche di non studiare. Non sarebbe questa un'azione nobilmente educativa? Di qui, quattro piccole pulci nell'orecchio: e se il recupero fosse una violenza ai ragazzi? E se fosse, da parte nostra, un'ignobile ipocrisia, visto che per recuperare 8 anni di totale ignoranza grammaticale (3 anni di medie e 5 di elementari), ci vorrebbero tutte le ore di lezione di almeno 2 anni e non certo le miserabili 15 ore a cui ci impegna il decreto ministeriale? E se, a forza di recuperare, non avessimo più il tempo di fare i programmi? Chi li svolgerebbe, l'università? E chi farebbe i programmi universitari, le case di riposo? E se il recupero non fosse che l'ennesimo escamotage per autoesentarci dal nostro compito educativo di formare persone responsabili? Fine delle pulci. Siccome caso vuole che ci si trovi in periodo elettorale, mi piacerebbe molto che si parlasse di scuola. Non le solite generiche parole in libertà: riconosciamo alla scuola la sua centralità per la crescita del Paese… blablabla. Vorremmo scendere nei dettagli. Vorremmo sapere cosa pensa l'un partito e l'altro a riguardo del recupero. C'è una forza politica, almeno una!, che ritenga il recupero un obbrobrio, e pertanto s'impegni a raderlo al suolo? O qualcuno che ci dica che semmai è l'analisi logica da radere al suolo? Non so, vedete voi, cari partiti.
Paola Mastrocola

Diario di scuola - di Daniel Pennac

Daniel Pennac, noto per la serie di romanzi con protagonista Benjamin Malaussène e la sua famiglia, ha scritto un libro, edito da Feltrinelli, dal titolo "Diario di scuola". In questo libro, l'autore ci parla di scuola ed affronta il tema attraverso il punto di vista degli studenti. Non gli studenti "normali", ma quelli "asini", quelli che hanno voti bassi, con un profitto scarso. Pennac é stato uno di questi "somari" e proprio per questo ha uno sguardo privilegiato: sa esattamente come ci si sente in questa parte. Sa, perché toccato da questa sorte malvagia, quanta sofferenza ed angoscia può causare in un ragazzo. E' un viaggio a doppio binario, dalla parte degli alunni e dalla parte degli insegnanti, ruolo anche questo che l'autore conosce bene. Il libro racconta episodi autobiografici e disfunzioni dell'istituzione scolastica che si accompagnano a riflessioni sulla pedagogia e sul ruolo della famiglia.

Sicuramente anche gli studenti più brillanti avranno avvertito qualche volta nella vita, il vuoto cosmico dell’ignoranza entrare nel cervello, avranno provato la sensazione di totale incapacità di fronte alla traccia del compito di italiano, o a quella di matematica, avranno avvertito la sensazione dolorosissima, ci confida Pennac, di non potercela proprio fare. Alcuni studenti vivono questa esperienza solo alcune volte nella loro vita da studenti, altri invece se la portano dietro e ci convivono, rinchiusi nella rassegnata consapevolezza di non essere in grado di superare quello “zero” scritto in rosso sul compito di matematica. Pennac è stato uno di questi bambini. Nato in una famiglia benestante, ultimo di quattro fratelli laureati a pieni voti e figlio di professionisti, si scopre presto refrattario alla conoscenza, all’acquisizione dei concetti, alla memorizzazione. Scopre il suo senso di inadeguatezza ed impotenza, al quale cerca di sopperire con incredibili e sfacciate bugie dette alla famiglia e agli insegnanti, in una spirale da cui si esce, nella maggior parte dei casi, solo con l’abbandono scolastico. A meno di non incontrare un insegnante capace di salvarci dalla condizione di ignoranti impenitenti. In queste pagine Pennac traccia molti esempi di buoni e cattivi maestri e di asini più o meno redenti attraverso le storie vissute durante la sua attività di insegnante. Un viaggio affascinante tra i temi caldi della pedagogia, ma anche un saggio che descrive e analizza la situazione della società francese, i conflitti fra generazioni, le contestazioni dei giovani delle banlieues, con la difficoltà di integrazione. In queste pagine troviamo temi molto attuali del dibattito istituzionale della Francia contemporanea ma anche degli altri Paesi europei, argomenti che portano ad analizzare le relazioni di potere tra studenti e insegnanti e tra adolescenti e genitori. Da leggere!

domenica 6 aprile 2008

Il festival del luogo comune


Sul settimanale l’Espresso del 3 aprile, Giorgio Bocca, nella rubrica L’antitaliano, sostiene la tesi che la pigrizia nel modo di comunicare e di esprimersi, si trasforma in pigrizia nel modo di pensare.
Bocca esordisce domandandosi perché alcune parole, a seguito della loro ripetizione continua, diventano di moda tanto che vengono usate quasi con una sorta di compiacimento, senza mai annoiare. Due di queste parole, tra le tante che si sono succedute in questi anni, sono: Allora e Assolutamente.
La prima interiezione si trova in tutti i quiz e le interviste concesse dai personaggi famosi. Nei quiz, la risposta risolutiva è preceduta da un “allora” che funge da “Vedi come sono riflessivo? Non rispondo a vanvera, vengo da un villaggio del meridione o del Veneto, ma non mi faccio impressionare dalla TV”. Un modo di dire che sembra poter ricollocare il soggetto in una posizione non di sudditanza nei confronti del mezzo televisivo. Bocca sostiene che la “magica” parolina “Ha liberato gli italiani dal loro complesso di inferiorità”.
A rafforzare la funzione di autoassicurazione delle parole, arriva un “assolutamente”, che in un crescendo di rassicurazione, diventa un “assolutamente sì”, finalmente liberatorio.
Gli antenati di queste paroline di moda, sono il vituperato “attimino”, che grande fortuna ha avuto fino a pochissimo tempo fa e che continua a trascinarsi, un po’ stancamente in verità, nelle pieghe del linguaggio comune.
Quale il significato nascosto di questa parola? Se ad una richiesta la risposta era “un attimino”, si poteva pensare che essa non avrebbe avuto un esito positivo, poiché l’attimino, precedeva, quasi immancabilmente, il riscontro definitivo negativo.
Anche la famosa “in prima persona”, tanto cara alla sinistra, aveva uno scopo ben preciso che superava l’ambito dell’interpretazione letterale. Essa serviva, secondo l’autore dell’articolo, a “riempire i vuoti d’intelligenza e di memoria”.
Questo breve excursus sui luoghi comuni, serve per dire che sebbene il linguaggio si sia sempre avvalso di essi, la modernità ne abusa o meglio “il luogo comune sembra l’unico modo per capirsi, per esprimersi”. Molte persone fanno dei luoghi comuni, delle parole di moda, un uso eccessivo e tra questi, Bocca annovera i calciatori con le loro “quel che conta è il gruppo” o “dobbiamo crederci” o “la voglia di vincere e non mollare mai”, diventato un ritornello ripetuto all’infinito da presentatori televisivi, dal linguaggio alquanto discutibile.
Il vero problema è che questi personaggi non sono in grado di “fare un discorso articolato, tra emozioni e ragionamento”, pur sapendo quanto un gioco di squadra risenta di “misteriosi ed intrecciati stati d’animo collettivi che passano dall’individuo, dal campione al gruppo”.
Naturalmente, tra coloro che fanno un uso eccessivo di luoghi comuni, non possiamo dimenticare i politici che dovrebbere conoscere e usare la lingua “come il principale dei ferri del loro mestiere”.
L’articolo termina con la constatazione che il linguaggio moderno specializzato, ignora la lingua colta; la scuola è diventata la pubblicità che non si serve più della lingua, sostituita dalle immagini, che hanno, sì, un impatto significativo, ma che spesso non ne possiedono la stessa pregnanza.
Bocca attribuisce all’uso dei luoghi comuni, un valore di “peccato veniale, di perdonabile pigrizia”, ma ricorda altresì che l’accidia è annoverata tra i peccati mortali e mette in guardia contro l’inevitale pericolo che la pigrizia nel modo di parlare e più in generale nella comunicazione, porti alla pigrizia del pensiero che ha come conseguenza la “mancanza di pensiero, di dialettica, che rende opaco e triste il nostro modo di vivere la modernità”.
Attenzione, dunque, all’eccessivo “rilassamento” della mente, facciamo in modo che per combattere il “logorio della vita moderna” (come recita uno slogan pubblicitario), non sia necessario evitare la “fatica” di esprimersi.

Un nuovo libro sull'insegnamento della Filosofia


La Casa editrice SAPERE EDIZIONI e la SOCIETA’ FILOSOFICA ITALIANA, Sezione trevigiana “L. Coccioli”, invitano gli insegnanti di Filosofia e tutti coloro che si interessano di questa materia
MARTEDI 8 APRILE 2008, ALLE ORE 18.00
al Collegio Pio X in Borgo Cavour 40 a Treviso, alla presentazione del libro del Prof. Roberto Grigoletto dal titolo "L’insegnamento della filosofia nella scuola superiore – Problemi e prospettive" pubblicato nella collana Metodologia e Didattica della Filosofia. Nell’occasione si terrà una tavola rotonda su: “Modelli e metodi nell’insegnamento della filosofia”, alla quale, oltre all’autore del volume, prenderanno parte i professori Armando Girotti dell’università di Padova, Mario Quaranta, direttore della rivista Insegnare Filosofia oggi, Filippina Arena, presidente della Società Filosofica trevigiana e Attilio Pisarri, dottore di ricerca all’università di Venezia.

3 - Le domande dell'educazione-Dove educare?

Parlare di educazione vuol dire anche sciogliere un terzo punto di domanda: Dove si educa? L'uomo/persona cresce in diversi contesti educativi che sono i luoghi istituzionali, formali, intenzionalmente formativi ma anche in luoghi non istituzionali, casuali che non hanno un'intenzionalità educativa, come le strade, le piazze o come i luoghi della natura.
Il dove ha quindi due aperture: quella dell'intenzionalità educativa e quella della casualità educativa.
a. L'intenzionalità educativa é irrinunciabile. Essa permette che le singole età della vita (infanzia, adolescenza, gioventù, età adulta e senile) vengano vissute nei luoghi che hanno la vocazione formativa, come la scuola e la famiglia.
Queste agenzie formative assolvono un compito essenziale per permettere alla Persona di costruire i suoi modelli comportamentali e culturali di natura affettiva, etico-sociale, cognitiva ed estetica. E' necessario che si crei un'interconnessione/integrazione dei diversi luoghi dell'educazione ed é quindi da ricercare una forte alleanza tra il sistema formale e quello non-formale che, solo in seguito, potrà aprirsi al sistema informale (ricordiamo che si definisce tale la cultura di mercato e a pagamento, cioè le attività formative a domanda individuale). Questo, per assolvere la sua funzione educativa, dovrà rispettere le regole principali che, in educazione, si chiamano "intenzionalità, progettualità, aggregazione, persistenza formativa".
b. La casualità educativa
è, anch'essa, irrinunciabile. Essa fa sì che le diverse età della vita sappiano accogliere i "paesaggi" culturali e naturali della vita quotidiana. I bambini ed i giovani raccolgono le esperienze più significative nei luoghi casuali ed informali dell'ambiente-città e dell'ambiente-natura. Tali esperienze vanno poi, elaborate e "metabolizzate" nei luoghi dell'educazione intenzionale, perchè possano dispiegare appieno tutta la loro ricchezza.
In primis, la famiglia, in cui si garantisce un guadagno educativo alle esperienze affettive e morali date dalle relazioni "di caseggiato e di vicinato"
Poi, la scuola, in cui si garantisce un guadagno educativo alle esperienze di tipo cognitivo e sociale che i giovani fanno in famiglia e nell'ambiente sociale.
Infine, gli altri luoghi dell'educazione intenzionale, in cui il guadagno educativo si ha alle esperienze relazionali e creative che si fanno nelle ludoteche, nelle biblioteche e in tutte le agenzie formative del Paese, del quartiere e della città.
Va da sè, quanto sia importante, se vogliamo formare dei cittadini e non dei semplici scolari, facilitare l'accesso al "mondo della casualità e dell'estemporaneità educative". Buon proposito, ma di difficile attuazione, oggi, che l'educazione appare sempre più rinchiusa in situazioni di isolamento e di solitudine.
Tutto questo conduce ad "un risultato pedagogicamente in-rosso: la sottrazione all'infanzia come all'adolescenza di molta parte delle esperienze cosparse di cifre di imprevedibilità, di imponderabilità, di inusualità. Se negate, portano a tenere colpevolmente al buio gli scenari dell'altrove".
La risposta alla terza domanda é: ovunque.

venerdì 4 aprile 2008

2 - Le domande dell'educazione-Quando educare?


Il secondo, problematico, quesito che l'educazione pone é: quando si educa?
Volendo dare voce all'Unione Europea e al Report/2000 curato da O. Bruner, Istruzione e Formazione permanente, potremmo dire che si educa lungo tutto l'arco della vita. Il quando dell'educazione segue l'orologio delle età generazionali: dall'infanzia all'età senile. Ciò significa che si educa sempre. Ogni stagione della vita dovrà essere scandita da un'alfabetizzazione di lunga durata che sappia attraversare le rotte della conoscenza e dei rapporti sociali.
Accompagnare l'uomo per tutta la vita, significa far diventare l'educazione "un capitale sociale, una palestra di democrazia sociale e una sede primaria di coesione sociale".
Ma perchè l'educazione possa rappresentare tutto questo, occorre, primariamente che essa attraversi tutto l'arco di vita (long life learning) e che sappia incontrarsi, per mezzo di un sistema formativo integrato, su un terreno di reciprocità culturale che va dalla scuola ai contesti formativi presenti nel territorio: quartiere, borgata o paese.
Afferma Frabboni che é necessario attivare "un doppio sentiero di istruzione che attraversandosi ed incrociandosi possa disegnare una scuola-come-sistema: non più claustrale, tutto/scuola, scuolacentrico. Ma un sistema di istruzione aperto alle culture del fuori, in grado di rendere consapevoli le giovani generazioni della complessità e delle contraddizioni che attraversano questo mondo globalizzato".
a. La formazione per tutta la vita è possibile se la scolarizzazione dell'obbligo e del postobbligo "sa trasmettere competenze alfabetiche capaci di automanutenzione". La difficoltà dell'educazione permanente risiede nella perdita dei saperi cui vanno incontro gli studenti pochi anni dopo la loro uscita dal sistema di istruzione "le conoscenze ufficiali (le materie di studio: tendenzialmente trasmesse in forme mnemoniche e nozionistiche) spariscono dalla mente dei giovani, scompaiono dal loro monitor cognitivo qualche anno dopo l'uscita da scuola".
b. Il sistema formativo integrato é possibile se le agenzie formali, le scuole, le agenzie non-formali intenzionalmente educative, la famiglia, l'associazionismo, gli enti locali, il mondo del lavoro, e le agenzie informali, quelle del mercato, non frammentano la domanda formativa e quindi "non atomizzano l'offerta formativa".
Occorre un'alleanza tra le diverse agenzie, soprattutto tra quelle formali e quelle non-formali che devono "calmierare l'irruenza/invadenza del mercato formativo a pagamento (sregolato, instabile, non intenzionalmente educativo)"
Solo dopo questo primo passo, il sistema informale "se accetterà le sane regole dell'educazione, partendo dall'intenzionalità e dalla progettualità, potrà essere accolto nella città educativa".
Continuerà, questo terzo sistema, a restare di mercato ma non dovrà dimenticare il principio della qualità dei prodotti che offre.
La risposta al secondo interrogativo é dunque: sempre. (continua)



giovedì 3 aprile 2008

1 - Le domande dell'educazione-Perchè educare?





In Pedagogia più Didattica - Teorie e pratiche educative, gennaio 2008, Rivista quadrimestrale della Erickson, Franco Frabboni, professore ordinario dell'Università di Bologna, analizza la Pedagogia partendo dalla riflessione su tre tre domande basilari: Perché educare? Quando educare? Dove educare?
Il Ventunesimo secolo é stato caratterizzato da una forte aspettativa nei confronti di un'idea di umanità capace di inaugurare una nuova stagione, rispettosa della libertà, della giustizia, dell'uguaglianza e della convivenza pacifica. Un'umanità affrancata dai risvolti modernisti di tipo ideologico e discriminatorio.
Ciò si rende possibile a patto che si riesca a superare tali aspetti ed in presenza di una direzione di società che sia, nel contempo, postideologica, postliberista e postmediatica, una "società post", insomma, capace di accogliere un'Educazione che si coniuga totalmente con la Persona, assunta nella sua singolarità Irripetibile, Irriducibile ed Inviolabile (la Persona identificata con le tre/I).
In una società in cui sembra prevalere, come unico motore di sviluppo, l'idea di globalizzazione economica, tecnologica e consumistica, la singolarità resta l'unica difesa possibile dell'uomo.
Afferma Frabboni "L'umanità nuova, indossa il doppio mantello della complessità (a difesa della differenza e della pluralità: e non dell'identico) e della problematicità (a difesa dell'ipotetico e del possibile: e non della certezza)".
L'educazione é chiamata a dare risposte in una società che sta cambiando sia l'aspetto socio-economico sia quello antropologico-culturale.
Perché si educa?
La risposta apre due scenari:
  1. L'educazione a difesa della singolarità
  2. L'educazione a difesa della mente plurale

1. Per fronteggiare l'attacco planetario delle superpotenze economiche e, ancora di più quello delle multinazionali mediatiche che hanno il compito di "plasmare" le menti secondo linguaggi, idee e conoscenze che portano ad una uniformazione ed ad un livellamento dei modelli di vita civile, sociale ed esistenziale, é necessaria una mobilitazione educativa che sappia affrontare questa situazione. Come? con una sfida educativa di portata planetaria "una sfida possibile, a patto di disseminare una sempre più elevata e capillare formazione scolastica (quale risorsa umana) equipaggiata di profondi valori culturali, sociali e civili".
Ecco che l'istruzione deve essere ricca di diversità, non di unicità, di cifre/sociali e non individuali, di cooperazione e non di competitività, di solidarietà e non di indifferenza.

2. Il traguardo dell'educazione deve essere la maturazione integrale dell'uomo (soggetto/persona). Il percorso da fare, attraversa tutta la vita della persona e va dall'infanzia alla vecchiaia. Il pericolo che si corre é che la globalizzazione culturale, generi un'umanità-massa, una persona standardizzata i cui comportamenti (affettivi, sociali, etici e cognitivi) siano forgiati dall'industria dei consumi collettivi di massa.
Da qui il richiamo all'inviolabilità, all'irriducibilità ed all'irripetibilità della Persona, che sappia salvaguardarla dal pensiero unico privo della capacità necessaria per comprendere i messaggi mediatici con un adeguato senso critico.
Per rispondere dunque alla prima domanda: Perché si educa?, possiamo dire che si educa: "per umanizzare la Persona vuoi dell'emisfero australe (i Paesi della povertà), vuoi dell'emisfero boreale (i Paesi del benessere)". (continua)