domenica 6 dicembre 2009

I tagli nella scuola



Dal 2002 al 2010 36.218 docenti e 4.945 classi in meno
Dossier Legambiente sulla 'dieta' cui è sottoposta l'istruzione

Roma, 5 dicembre - 322 istituzioni scolastiche aggregate, 68 piccoli plessi chiusi e 36.218 cattedre tagliate. Sono questi i risultati dei tagli attuati alla scuola solo nel primo anno del piano Tremonti-Gelmini, che sono andati ad aggiungersi alla riduzione di risorse dei precedenti provvedimenti governativi. Una "dieta ferrea" le cui conseguenze Legambiente ha ricostruito nel dossier 2009 sui tagli alla scuola italiana dal 2002 al 2010. "Otto anni che raccontano, a fronte di un aumento degli alunni, il taglio di classi e organici, la riduzione di risorse finanziarie alle scuole pubbliche e, nel contempo, i nuovi finanziamenti a quelle private".
Indicatore più significativo della "china in discesa" della scuola italiana è, a tutti gli effetti, il precariato. Secondo il dossier di Legambiente, infatti, dal 2002 al 2010 si sono persi 29.302 docenti di ruolo, per arrivare nell'anno scolastico 2008/09 a un 15,66% di precari (130.835) nel corpo docente, di cui ben 110.533 è stato licenziato al termine delle attività didattiche. Non va meglio neanche per i 90.026 docenti di sostegno, di cui oggi il 43,80% (39.428) è precario, spesso senza specializzazione e comunque impossibilitato a garantire quella continuità necessaria nei processi educativi di questi alunni. E anche il personale Ata è sempre più precario. Dal 72,52% di collaboratori scolastici assunti a tempo indeterminato nell'anno scolastico 2001/02 nel corrente anno siamo scesi a 60,37%.
"Il precariato - dice Legambiente - rappresenta uno svilimento della figura professionale dell'insegnante, sulla quale evidentemente si vuole investire sempre di meno, se si considerano i dati sulla formazione per il corpo docente che lascia sul campo il 27,64% delle risorse rispetto allo scorso anno, l'87,07% in meno rispetto al 2001". Non va meglio per la formazione dei docenti di sostegno: la cifra dei fondi a loro destinati, già bassa in partenza, subisce un taglio del 25,14% rispetto all'anno scolastico 2008/2009, mentre aumentano nel contempo i bisogni formativi, dal momento che quasi il 50% di questo personale è precario e senza alcuna specializzazione.

domenica 22 novembre 2009

Gite scolastiche e spinelli.


TORINO.
Parlarne è difficile perché rischi di essere escluso, deriso: in una classe di scuola superiore i ragazzi che non vogliono fumare spinelli, ma anche impasticcarsi, tirare cocaina, sono un’esigua minoranza. Chi poi non ha mai provato qualcosa è davvero una mosca bianca. Comunque, se sei una ragazza carina ancora ti tollerano, ma un maschio che non fumi finisce nell’angolo». Sul tema dell’uso di sostanze dissertano spesso sociologi e psichiatri. Meno comune è che parlino i ragazzi.
A qualcuno di loro, però - un gruppo di amici che frequentano istituti dell’area di Rivoli, Collegno e Grugliasco, ma anche della semiperiferia torinese, un gruppo che si è formato naturalmente perché i suoi componenti condividono il disinteresse per le droghe - è venuto il desiderio di spiegare, di raccontare il livello di «normalità» a cui il «fumo» è arrivato. La molla? Il fatto che alcuni, nelle rispettive scuole, rinunceranno al viaggio di istruzione previsto nei prossimi mesi «perché si risolverà in un’occasione di sballo generale. E se tu non ci stai, rischi di non trovare nemmeno un compagno o una compagna con cui condividere la stanza», dice una ragazza che, per ovvi motivi, non desidera comparire con il suo nome né dichiarare la scuola. «Siamo venti in classe - prosegue - e quelli che la pensano come me non sono più di cinque. Tra loro c’è chi non verrà in gita perché il padre è in cassa integrazione». Un’altra studentessa, il cui liceo ha programmato un viaggio all’estero, spiega: «Parecchi miei compagni sono preoccupati perché non si fidano a portare il fumo in aereo. Quindi, al momento, la gita sta perdendo di interesse».
I professori? Secondo i ragazzi che si sono rivolti a La Stampa - tutti sedicenni e diciassettenni - evitano di prendere posizione. Nell’istituto tecnico frequentato da uno di loro, ogni tanto un professore sbotta. «Quando un mio compagno - dice Lorenzo - palesemente non è in grado di seguire la lezione, il prof gli dice “Si vede che ti sei fumato qualcosa di troppo”. E finisce lì». Docenti demotivati o poco autorevoli? «Non direi. È che si sono arresi, ogni tanto fanno considerazioni tipo “la società va così...”». E per corroborare la sua affermazione, Lorenzo ricorda un altro compagno, gran spinellatore, sempre coperto dalla sorella per timore delle ire dei genitori, il quale durante una vacanza a Sharm el Sheik con tutta la famiglia, si è sentito dire dal padre (bancario, evidentemente irritato dall’impossibilità di proseguire nelle sue abitudini): «Hai un amico che può farmi trovare un po’ di fumo al nostro arrivo?...». Lorenzo racconta di ragazzi che hanno totalmente perso la capacità di concentrarsi, di studiare, che diventano irascibili per un nonnulla. «Se ne vanno dalla classe sbattendo la porta senza nessun rispetto per il prof». Sul fronte femminile, invece, è un fiorire di crisi d’ansia. «Nella mia scuola - dice Giulia - non passa giorno che non succeda. Io penso che questo abbia a che fare in particolare con ciò che prendono in discoteca. Una mia compagna dice di aver provato anche la “droga dei cavalli”». Quella ketamina usata in veterinaria che, a bassi dosaggi, scatena sensazioni di dissociazione e fenomeni di allucinazione.
In generale, dicono i ragazzi, «il fumo arriva a scuola facilmente, attraverso qualche compagno che arrotonda la paghetta vendendolo, proprio come io posso fare la baby-sitter e lui mettere i volantini nelle buche. Fumare nei bagni, durante l’intervallo, ma anche davanti, sul marciapiede, è comune. E lo è la sera, quando si esce in compagnia: dopo il cinema è inevitabile - se non usciamo con il nostro gruppo - finire a guardare gli altri che si fanno le canne». I ragazzi che non ci stanno - i loro genitori sono impiegati, tecnici, artigiani - descrivono una vita nella quale imbattersi nelle sostanze è all’ordine del giorno. «Ho ritrovato un amico che avevo in terza media - dice Erica, una studentessa di terza liceo scientifico - e che ora spaccia cocaina in discoteca. E uno dei miei istruttori, in palestra, con cui sono uscita una volta insieme ad altri ragazzi, ha candidamente ammesso di farne uso. Oggi il confine tra bene e male è limitarsi agli spinelli o dedicarsi ad altro.

Maria Teresa Martinengo, La Stampa 21.11.2009

domenica 4 ottobre 2009

Precari scuola: una proposta


Stanno come d'autunno sugli alberi le foglie, i precari della scuola in Campania. Ad ogni convocazione, simile a un turbine di vento, cadono a cento a cento. Alla fine ne resteranno sul terreno ben più di ottomila. E quelli che perdono la supplenza da noi non sono sempre quelli previsti o che se lo aspettano. Mi spiace ammetterlo, ma ha ragione la Lega. Al nord spesso si va solo per passare di ruolo, poi si torna giù con assegnazioni annuali, e i posti per i supplenti rimangono sempre lì. È un fenomeno in aumento, alimentato da cinici consiglieri dei precari, che porta da noi lo scompiglio tra i precari, insieme con la casualità e un'estrema incertezza. Dev'essere chiaro a tutti che le proteste e le manifestazioni vanno intensificate insieme con studenti e genitori, ma non ci si può fermare lì. Occorre costruire una proposta che salvi i precari, che parta dal personale di ruolo della scuola. Che deve manifestare loro concreta solidarietà, mettendo in discussione la tradizionale organizzazione del lavoro e perfino qualche beneficio.
La stabilizzazione dei precari, che la Gelmini rifiuta «per salvare la scuola», deve essere l'obiettivo di una proposta complessiva che innanzitutto offra una garanzia: alla fine del percorso della stabilizzazione non si sarà riformato lo stesso esercito di precari. Se non si offre questa garanzia, non c'è governo, di destra, centro o sinistra, che voglia metter mano alla soluzione del problema. Già al tempo di Berlinguer l'autonomia scolastica aveva un pilastro nell'organico funzionale, e cioè una quota di personale, stabile per un triennio, che rispondesse a tutte le esigenze di una scuola, dalle ore di lezione, alle sostituzioni, ai progetti. È rimasto un concetto: sarebbe il caso di riprenderlo in più seria considerazione. Insieme con una rimodulazione dell'orario dei docenti che preveda, in modo meno episodico, anche il tempo per la sostituzione degli assenti. Una tale organizzazione, se non elimina, riduce di moltissimo il ricorso ai supplenti. E non si dica, con qualche ipocrisia, che la proposta mette in forse la continuità didattica e il monte ore annuo di ogni disciplina, perché questi principi sono già oggi ampiamente disattesi. Se le scuole, da sole o associate tra loro, ottenessero un organico stabile pluriennale per gli insegnamenti curricolari, per quelli opzionali, tanto sbandierati dai recenti regolamenti, compresa una quota oraria per la sostituzione degli assenti, potrebbero sostenere la sfida di praticare un'autonomia sostanziale.
Per un tale progetto il ministro e il governo dovrebbero ricredersi e stabilizzare, massimo in un triennio, tutti i precari inseriti nelle graduatorie ad esaurimento: circa 250 mila persone. Contemporaneamente dovrebbero favorire e incentivare il pensionamento di tanto personale della scuola anziano, anche per abbassare l'età media dei docenti. I quali dovrebbero essere disponibili a significative ridefinizioni del loro orario di lavoro, a rinunce non facili ad annuali opportunità di trasferimenti, assegnazioni e spostamenti vari, all'uscita da graduatorie per altri insegnamenti, che con la loro presenza contribuiscono ad ingolfare. I precari, infine, a fronte della stabilizzazione, dovrebbero entrare in graduatorie che non possono non divenire nazionali, con inevitabili spostamenti per molti di loro. Se la stabilizzazione dev'essere decisa dalla legge, tutto il resto - com'è ovvio - va definito dalla contrattazione.
Un'operazione del genere darebbe respiro a ogni ipotesi di riforma seria e, soprattutto, all'autonomia delle scuole. A fronte dell'avvio di una discussione per raggiungere l'intesa, la Gelmini e il governo potrebbero sospendere già i tagli di quest'anno. E così ridare la speranza ai precari, alle scuole e ai loro alunni.

F. Buccino, La Repubblica, 4 ottobre 2009

domenica 27 settembre 2009

I nativi digitali


Ad un certo punto in La regina dei castelli di carta, terzo volume della Millenium Trilogy di Stieg Larsson si legge: “Lisbeth Salander uscì dalla chat e andò in Internet a cercare il server che le aveva indicato Plague. Impiegò le successive tre ore a esaminare cartella dopo cartella l’hard disk di Teleborian”. Una nuova popolazione si aggira tra di noi e questo ci sconcerta invece di interessarci. Sono i nativi digitali, coloro che appena nati si sono trovati immersi nelle possibilità di eseguire attività attraverso strumenti di tipo digitale (nati con la tastiera in mano). Nella loro breve vita i nativi digitali acquisiscono competenze di cittadinanza attraverso strumentazioni sempre nuove e con nuovi linguaggi, che noi non abbiamo conosciuto alla loro età. Attualmente rappresentano solo un gruppo, ma col passare del tempo tutta la società indigena italiana sarà nativa digitale. Accanto a loro convivono altre due popolazioni: gli immigrati digitali, cioè coloro che hanno appreso da adulti il web-world (“mondo dei computer”) e i fruitori digitali, cioè coloro che per necessità o per obbligo devono usare il web per cercare di facilitarsi la vita (ma in linea di massima ritengono gli venga complicata). Il luogo dell’incontro tra queste popolazioni dovrebbe essere la scuola, ma troppo spesso la scuola è solo il luogo dello scontro, se non della distanza. Sembra quasi che lo scontro di civiltà non ci sia solo tra religioni o etnie, ma anche tra la generazione dei garantiti e quella dei sotto garantiti.
CONOSCERE I NATIVI DIGITALI
Gli alunni delle nostre scuole dell’obbligo e non solo di quelle sono tutti nativi digitali e come tali le scuole dovrebbero cominciare a considerarli. La scuola dovrebbe riuscire a colmare alcune lacune di comprensione, pena la sua assoluta obsolescenza. Molto spesso si danno nomi diversi alla stessa cosa, a volte non ci si capisce quando si dice qualcosa. Credo sia necessario uniformare il lessico e comprendere alcune novità che trovano nella terminologia un punto di novità. Ma non tutti nella scuola la pensano come me e spesso sembra esserci un eccessivo distacco tra le esigenze dei nativi digitali e le potenzialità che la scuola è in grado di dare loro. Tra l’altro i nativi digitai stanno diventando un social network e i social network sono uno dei punti di massima criticità della nostra società. Il social network è un gruppo sociale, digitale o etnico che si è strutturato un suo sistema di vita autosufficiente e che dalla società acquisisce solo i servizi necessari. Ad esempio: se un ragazzino cinese che frequenta la scuola italiana a casa mangia cinese, parla cinese, legge cinese, segue le feste e le tradizioni cinesi, vede tv via cavo cinesi, ecc. sta in un social network, impermeabile ai nostri tentativi di integrazione. Il social network etnico è il più sviluppato, ma anche quelli di categoria o di classe si stanno affermando anche da noi. Per non parlare poi di quelli digitali, che si strutturano attraverso forme di comunicazione a distanza pubbliche, ma esclusive. Noi usiamo sempre il termine integrazione, ma questo è il contrario del social network. Con l’integrazione il soggetto contamina se stesso con la società in cui vive ed effettua uno scambio tra la sua perdita dell’identità iniziale e l’integrazione con quella attuale. Ma tende a sganciarsi dalla sua origine: se un musulmano si integra difficilmente rimane poligamo. Mentre in un social network il soggetto assorbe servizi ed opportunità per mantenersi ancorati a ciò che è.
Ha scritto Paolo Ferri dell’Università di Milano Bicocca: “Quando negli Anni Ottanta ci si recava nella Germania dell’Est, avevamo la sensazione di tornare indietro di trent’anni. È la stessa sensazione che hanno ogni giorno i nostri alunni quando entrano a scuola. Noi abbiamo di Londra l’idea che ce ne ha dato per anni Sandro Paternostro. Loro passeggiano nelle sue strade senza esserci mai fisicamente stati. Noi incontravamo gli amici al bar, loro vanno su Facebook”. I ragazzi vanno coinvolti modificando il modo di insegnare e “giocando” sul loro terreno. Bisogna tenere presente che le strumentazioni digitali stanno cambiando - e per certi versi lo hanno già fatto - i modi di apprendere che non passano più solo per la parola scritta. Ma le scuole non riescono facilmente a fare questo e spesso sono la metafora della Germania Est.
VALUTARE I NATIVI DIGITALI
I nativi digitali hanno diritto di essere valutati dalle scuole nella loro interezza. Le nuove norme sulla valutazione condensate nella legge 169/2008 e nel DPR 122/2009 emanati dal Ministro Gelmini prevedono medie matematiche e valutazioni collegiali. Per questo sarebbe fondamentale che fossero registrati non solo gli esiti dei prodotti (compiti, interrogazioni, prove strutturate, ecc.), ma anche gli step di processo (impegno, interesse, partecipazione, intuizione, capacità argomentative, accuratezza, puntualità, precisione, ecc.). La valutazione scolastica dunque dovrebbe prevedere accanto alla certificazione del prodotto anche quella del processo in modo che nulla rimanga nella testa del docente. La collegialità dovrebbe esplicarsi attraverso forme trasparenti e solo la documentazione completa può permettere di monitorare il processo di valutazione nei momenti necessari. Mentre al contrario in molte scuole prevale la media matematica conteggiata attraverso valutazioni date in modo arbitrario e un tentativo di chiudere i processi di apprendimento in una sorta di bolla di protezione che non interagisce col reale.
Inoltre per valutare correttamente il processo di apprendimento vanno tenuti distinti due termini che la scuola tende a confondere:
Individualizzazione – E’ il modo migliore per sviluppare un programma. Tutti partecipano allo stesso tipo di scuola, ma vengono aiutati e valutati in base agli obiettivi fissati per loro. Gli obiettivi minimi stanno alla base dell’individualizzazione. Questo metodo di insegnamento è entrato in crisi quando gli obiettivi scolastici si sono scostati troppo da quelli sociali.
Personalizzazione – E’ il modo più semplice ed efficace di declinare un curricolo. Personalizzare un apprendimento o un insegnamento significa creare un percorso irreversibile proprio della persona interessata. Attraverso la personalizzazione si possono raggiungere obiettivi simili (competenze, cittadinanza, ecc.) attraverso percorsi tra loro estremamente diversi.
Questa distinzione non è sempre molto chiara a molti docenti, che si sfiancano alla ricerca di modalità per coinvolgere ragazzi, che invece stanno altrove. I nativi digitali sono una popolazione con loro usi e costumi, non necessariamente interessati ai nostri. Sono una popolazione a cui noi proponiamo avvenire, ma che vede intorno a sé precariato, a cui noi trasmettiamo molti saperi antichi che non esistono più, a cui noi dedichiamo la nostra attenzione che non sempre intercetta le loro necessità.
La straordinaria complessità del mondo interattivo con i suoi Facebook, Twitter, Messnger, You Tube, ecc, mostra al tempo stesso le potenzialità e pericoli di una società in cui i nativi digitali cercano certezze e trovano complessità. Noi adulti che dovremmo guidarli siamo più spaesati di loro e cerchiamo di sopperire alla nostra ignoranza con una dose di supponenza e di carta. Più i nativi digitali conoscono, più noi stampiamo faldoni di carta che nessuno legge e che nessuno analizza. Siamo all’implosione della comunicazione, ma abbiamo dei problemi a capire come si fa. E per questo i nostri figli e i nostri alunni hanno dubbi: sulla realtà e sulla nostra capacità di guidarla.
SORVEGLIARE E PUNIRE I NATIVI DIGITALI
I nativi digitali soprattutto minorenni vanno sorvegliati e puniti per i loro eccessi e per i loro comportamenti pericolosi, maleducati, teppistici. Resta il fatto che per sorvegliare bisogna conoscere perché altrimenti la punizione è solo repressiva e non tenta neppure il recupero sociale. Per reprimere anche i peggiori comportamenti e le più evidenti deviazioni bullistiche bisogna conoscere i codici attraverso cui si esprimono i ragazzi. Bisogna studiare i ragazzi per sorvegliarli e per capire quando vanno puniti. Chi conosce i nativi digitali ne intuisce gli usi e costumi e attraverso quelli ne percepisce le deviazioni teppistiche o bullistiche. Ma l’attenzione e l’ascolto sono la base attraverso cui partire e entro cui collocarsi. Affinché la sorveglianza sia efficace e la punizione giusta.
Ci sono i “Geek”, individui che usano gli strumenti digitali in tutte le loro possibilità, sono interessati da tutto, contaminati da fumetti, videogiochi, cultura, ecc. Sono riassunti nella frase di Barak Obama: “Sono cresciuto con Star Trek, io credo nella frontiera”. Hanno soppiantato i “Nerd”, individui che conoscono il loro computer sia dentro che fuori. Niente di ciò che sa o può sapere il loro computer gli è sconosciuto. In via di evoluzione sono gli “Hacker”, la più celebre dei quali è Lisbeth Salander, l’eroina della Millenium Trilogy. Gli hacker sono capaci di violare i computer altrui inserendosi attraverso la rete. Di solito il loro interesse maggiore è la violazione delle protezione, non l’acquisizione dei contenuti violati.
Una volta si diceva: “una risata vi seppellirà”. Nessuno ci ha seppellito e noi non abbiamo seppellito nessuno. E non c’è neanche granché da ridere.


S. Stefanel da "Pavone risorse" del 25/09/2009

lunedì 14 settembre 2009

Brunetta e la cultura


Ci sono due cose da dire dopo la piazzata di Renato Brunetta contro il "culturame parassita". La prima è di carattere generale, la seconda è peculiare del personaggio. In termini generali si deve osservare che, di pari passo con il disfacimento dell'immagine tranquillizzante che Berlusconi aveva costruito di sé, molti dei suoi feldmarescialli stanno gettando la maschera per rivelare la propria mentalità fascista. Può risultare sorprendente solo per coloro che hanno sottovalutato la resistibile ascesa al potere dell'attuale nomenklatura, ma il retaggio fascista continua ad alimentare buona parte della politica di governo, incardinato su due perni storici della demagogia populista: l'anticomunismo e lo sprezzo per la cultura. Come testimoniato dalla composizione dell'attuale governo, chiunque può far strada nella politica berlusconiana se si arrocca su uno di questi due baluardi – meglio ancora se su entrambi coniugati insieme. Non importa quanto deserto di titoli sia un curriculum, né conta la nullità del pensiero che si è in grado di ricamarci attorno: la professione di odio contro la cultura continua a pagare. Il ricorso al linguaggio sprezzante, dunque, quelle parole come "culturame", appunto, "parassiti", "disfattismo" eccetera, non è casuale: così come il capo sta apertamente rivelando (o non sta più riuscendo a celare) la propria vocazione alla tirannia, i suoi fedelissimi stanno abbandonando qualunque sforzo anche linguistico di mostrarsi democratici e moderati. Così, insieme alla caccia all'omosessuale (o dobbiamo chiamarlo pederasta?), alla "faccetta nera", al rom e al sindacalista, fatalmente si è aperta anche quella all'intellettuale. Quanto poco, in realtà, possano esser pericolosi gli intellettuali con un popolo che è riuscito a ignorare Pasolini e Don Milani, costoro non lo sanno; vivendo nel perenne complesso d'inferiorità tipico per l'appunto dei fascisti, essi si danno pena di attaccarli, e la cosa pericolosa ovviamente non è l'attacco personale (anzi, quello potrebbe essere perfino un bene, perché parecchi di loro continuavano a dormire), bensì il ripugnante assunto sulla groppa del quale l'attacco viene fatto galoppare verso l'opinione pubblica, per il quale la cultura è di per sé parassitaria, nociva e sovversiva.
La seconda cosa da dire, quella peculiare al personaggio, è che, per parlar semplice come piace a lui, e usare un'espressione cara alla mia povera mamma, ancora una volta Brunetta "ha dato la piega al kipfel": cioè, ancora una volta ha dato un contributo nullo alla sua armata, caricando a testa bassa dove già erano passati i carri armati. La sua esortazione a Bondi a tagliare i finanziamenti ai parassiti dello spettacolo, infatti, arriva quando questi finanziamenti, in un solo anno, sono già stati tagliati del 30% – ad opera non certo di Bondi, ovviamente, ma dell'unico ministro attivo di questo governo, cioè Tremonti. Ancora una volta, dunque, il ringhio di Brunetta va considerato come uno spruzzo di veleno ornamentale – una piantina carnivora sul davanzale –, a retroguardia di un'azione politica sempre più pericolosa, schizofrenica e liberticida che i grandi hanno avviato da un pezzo, mentre i piccini giocavano coi tornelli.

Quel disprezzo antico per la cultura
Sandro Veronesi,
la Repubblica 14.9.2009

lunedì 27 luglio 2009

Vicenza: presidi e merito


La mozione pressoché unanime del Consiglio Provinciale di Vicenza, che invita ad escludere i presidi di altre regioni (ma in realtà, e capiremo perché, solo quelli meridionali) dai posti di dirigente vacanti in quella provincia, è pienamente condivisibile; e non si tratta, analizzati i fatti, di uno scandaloso comportamento razzista. Lo scandalo c’è, eccome, ed è di una sconcertante gravità; ma a darlo sono stati ben altri soggetti che non i consiglieri vicentini, che evidentemente non si arrendono al travolgimento della legge che perdura senza rispetto in questo Paese.Alla base della loro decisione, come ha spiegato con molta chiarezza su vari organi d’informazione l’assessore alla Pubblica Istruzione di quella provincia, vi è lo sdegno per come si sono comportate diverse commissioni d’esame in occasione dell’ultimo concorso per dirigenti scolastici (indetto nel 2004 e completato esattamente due anni fa) e per come sono andate successivamente le cose. Oltre ad essere a carattere regionale, il bando prevedeva in modo preciso e prescrittivo che in ogni regione si rendesse idoneo un numero di concorrenti pari al numero dei posti a disposizione più una riserva del dieci per cento, in modo da poter coprire eventuali nuove sedi resesi libere, sempre a livello regionale, nei due anni successivi. Se in molte regioni italiane le Commissioni d’esame hanno rispettato la legge, procedendo tra l’altro ad una selezione senza precedenti, in altre regioni (spiace dirlo, ma esclusivamente del Sud), le commissioni hanno fatto superare l’esame, oltre al numero previsto per legge, anche ad altre centinaia e centinaia di concorrenti, dichiarati idonei, ma con poche speranze d’essere nominati nei due anni successivi al concorso. Niente paura, però; grazie anche alla sponsorizzazione dei sindacati, in testa l’Associazione Nazionale Presidi, si è trovato il modo di far approvare dal governo Prodi una leggina che permette ora a queste centinaia di persone di poter essere nominate sull’intero territorio nazionale, quando nelle regioni in cui la legge è stata rispettata si siano esaurite le graduatorie. L’ingiustizia è evidente e quindi la protesta pienamente fondata: non c’entra nulla l’essere meridionali, c’entra l’essere stati indebitamente favoriti. Una deroga al numero di idonei previsto dal bando di concorso avrebbe dovuto essere eventualmente autorizzata in ugual misura in tutte le regioni, in modo da non creare una così grave discriminazione. Non per nulla molto probabilmente in Sicilia il concorso venga annullato per le gravissime e palesi irregolarità.
Che i sindacati si siano dati tanto da fare per sponsorizzare tanta nefandezza è, dal loro punto di vista, più che spiegabile: centinaia di nuove tessere sindacali hanno un valore enorme, perché possono essere determinanti, per esempio, nella contrattazione nazionale relativa ai contratti dei presidi e di quant’altro che li riguardi. Altro che il merito!
Meno comprensibile, invece, che politici e commentatori anche autorevoli, come ad esempio Miriam Mafai, parlino, a proposito della posizione presa dalla provincia di Vicenza, di razzismo e apartheid nella scuola. Evidentemente non si sono informati in proposito. Certo, un titolo come Scuola, in Veneto presidi della nostra terra, lanciato in prima pagina dalla “Padania”, cavalca strumentalmente la faccenda in chiave etnica. Ma qui si tratta di stato di diritto, non di etnia e tanto meno di apartheid. E sarà bene che il governo e il parlamento ristabiliscano in questa vicenda un minimo di equità, se non si vuole fomentare proprio quell’intolleranza che tanto si stigmatizza a parole.
[La notizia dell'ordine del giorno della provincia di Vicenza è stata data da
"Repubblica" giovedì 23 luglio ed è poi stata ampiamente ripresa e commentata nei giorni seguenti su altri quotidiani]



di Valerio Vagnoli, dal Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità, 26.7.2009.

domenica 26 luglio 2009

Merito e voto di consiglio


E’ in corso un utile dibattito, innescato dall’aumento (non ancora confermato) del numero dei bocciati, sul ritorno (o meno) del merito, del rigore e di un’inversione di tendenza verso una scuola migliore o meno peggio dell’attuale.
Su questi temi mi sono già espresso in modo critico. La scuola non sta affatto migliorando, anzi forse continua a peggiorare. I bocciati sono rimasti gli stessi , o lievemente aumentati, ma dovrebbero essere molti di più (almeno il doppio) se si volesse e potesse adottare la terapia del rigore sbandierata, auspicata, rimpianta, invocata da coloro che da se stessi si dichiarano “rigoristi”. Io non credo in questa terapia, tanto meno nella sua applicabilità in dosi massicce ed efficaci. A mio giudizio, il pedale delle bocciature è già da tempo “a tavoletta”, non va più giù. Anzi l’alta percentuale di bocciati, arrivata l’anno scorso al 16,2%, andrebbe studiata e “curata” in relazione ai suoi elevati costi (economici e umani) riguardo alle ripetenze e alla dispersione causate.
Vorrei esaminare uno snodo, temporale e decisionale, di importanza fondamentale nella vita della scuola: gli scrutini finali di giugno. Vedere come essi vengono preparati, gestiti, quali sono gli attori, le parti che recitano sulla scena e dietro le quinte. Ovviamente mi riferisco alla mia esperienza nella scuola superiore. Non ho intenzione di negare situazioni ed esperienze diverse.
Gli scrutini costituiscono una ricorrenza ciclica annuale, in gran parte molto simile all’anno precedente ma pur sempre con qualche novità introdotta o dalla scuola in base all’esperienza oppure decisa dal Miur. Dall’esito degli scrutini dipende la consistenza e il numero delle classi nell’a.s. successivo e quindi il numero delle cattedre e l’eventuale condizione di soprannumerarietà di qualche docente. Dall’esito degli scrutini può dipendere l’autonomia dell’istituto e il rischio di accorpamento con altra scuola. Da ciò deriva una certa comprensibile resistenza e riluttanza a bocciare oltre un certo limite, una certa percentuale sia da parte dei docenti di ruolo più anziani sia dello stesso preside. Questi due pericoli (riduzioni di classi e rischio di accorpamento) costituiscono un sottofondo, una specie di cornice, una bussola che accompagna discretamente e guida tutte le attività della scuola lungo l’intero a.s. e fino agli scrutini finali. Ciò in particolare nelle scuole che hanno un numero di alunni iscritti appena superiore a quello minimo per rimanere autonome.
I criteri generali di svolgimento degli scrutini vengono decisi in sede di Collegio Docenti. Tipica è l’indicazione di non bocciare e sospendere il giudizio fino a due insufficienze gravi (4) e a una lieve (5), salvo casi particolari e senza inficiare la “sovranità” dei Consigli di Classe. Tutte le materie vengono considerate di pari dignità indipendentemente dal numero di ore settimanali e questa – secondo me - è già una distorsione: ad esempio, Storia con 2 ore vale come Matematica con 5! Il Collegio in genere non dà indicazioni sulle insufficienze gravissime (3 o 2) che pure si presentano per difficoltà o per scelta … “ergonomica” dell’alunno. Si lascia intendere che queste insufficienze gravissime – che diamine! – non esistano o siano dovute all’eccessiva severità (cattiveria) di qualche docente. Decisi questi criteri generali, il Collegio ha fatto la sua parte, ha esaurito il suo compito!
In genere e in quasi tutte le scuole, gli scrutini intermedi, che avvengono a gennaio-febbraio (se sono quadrimestrali), hanno uno svolgimento semplice e tranquillo: ogni docente mette i suoi voti, si discute della classe, dei singoli alunni, dei programmi e di qualche episodio o situazione particolari, si fanno alcuni confronti all’interno della classe e anche complessivi. In qualche scuola – mi è capitato realmente e lo riporto perché sintomatico – gli scrutini hanno un’appendice in una successiva riunione del Collegio convocata appositamente. Sfruttando le possibilità dell’informatica e dei computer, vengono elaborate e proiettate su un grande schermo tabelle riassuntive dei voti relativi a ogni classe e ogni disciplina consentendo il confronto in base alle medie e al numero delle insufficienze. I confronti sono sgradevoli e al limite del mobbing (o meglio bossing, risalendo l’iniziativa al D.S.) in quanto i docenti, pur non comparendo con il nominativo, sono facilmente riconoscibili in base alle loro classi e alle loro sezioni. Ma qual è l’uso o l’utilità di queste tabelle e dei confronti? Implicitamente e indirettamente la materie (cioè i docenti) con le medie più basse sono invitati, quasi costretti ad alzare i loro voti: sono loro che devono recuperare! Esplicitamente poi il D.S. (nello specifico una preside) urla a tutto il Collegio che non è possibile che nessuna materia abbia più del 40% di insufficienze: bisogna perciò venire incontro ai ragazzi, abbassare gli obbiettivi, ridurre i programmi adattandoli al livello degli apprendimenti se non vogliamo che la scuola chiuda! Ovviamente musica per le orecchie dei somarelli o somaroni sfaticati, se solo essi fossero presenti.
Ci sono poi dei colleghi o colleghe che, già all’inizio dell’anno, spontaneamente ti confidano la loro disperazione in relazione ai non-apprendimenti nella loro disciplina. Più o meno: “Non sanno niente, non stanno attenti, non seguono, non fanno i compiti, non portano libri e quaderni, … Ma quest’anno non sarà come l’anno scorso, eh, no! Non mi faccio più fregare, eh, eh, quest’anno boccio, boccio!”. Ciò avviene verso ottobre-novembre, magari in occasione del 1° pagellino. Effettivamente questi colleghi o colleghe arrivano al primo quadrimestre con votacci a chi merita. Poi, già verso marzo-aprile, sfuggono, evitano di parlarti e anche di salutarti e poi – quasi per miracolo - te li ritrovi allo scrutinio finale con quasi tutte le loro insufficienze sanate! Mi è capitato diverse volte e non sono riuscito a capire cosa sia successo.
Poi, ipotizzo, sospetto, ma ho avuto anche alcuni riscontri, l’effettuazione da parte di alcuni presidi di azioni individuali nei confronti di alcuni colleghi volte ad ammorbidire le loro valutazioni e recuperare le insufficienze. Ciò nel corso del secondo quadrimestre. A volte i presidi agiscono con discrezione e tatto, altre volte in modo del tutto scorretto, indebito, brutale.
Ma veniamo agli scrutini finali di giugno che decidono su promozioni, bocciature, sospensioni di giudizio. In quasi tutte le scuole, informatica e computer sono intervenuti ad alleggerire la fastidiosa e laboriosa parte manuale relativa alla compilazione delle pagelle, dei tabelloni, dei giudizi e dei verbali. Generalmente i voti delle singole discipline, o materie, vengono raccolti e trascritti qualche giorno prima in modo che allo scrutinio finale è già disponibile un tabellone riassuntivo con tutti i voti proposti. Questo tabellone viene stampato, fotocopiato e distribuito a ogni docente oppure proiettato su uno schermo più o meno grande.
La prima situazione (tabellone fotocopiato e distribuito a tutti) è quella più efficace: ogni docente ha la sua copia dei voti provvisori, può seguire agevolmente lo scrutinio, consultare il proprio registro e monitorare i voti definitivi man mano che diventano tali.
La seconda situazione (tabellone proiettato) richiede un operatore che si occupa del computer e assiste il Consiglio: proietta tutti i voti insieme o solo il prospetto dello studente via via scrutinato, riporta le modifiche e le decisioni man mano che avvengono. Questa opzione presenta alcuni disagi. Bisogna operare quasi al buio. La proiezione non sempre è ottimale, è collocata troppo in alto, non è agevole controllare i propri registri e insieme il tabellone o il prospetto individuale. In questa situazione si lavora male, si può perdere, o si riduce, la possibilità di confrontarsi fra colleghi. Finisce che ognuno si confronta con il preside o con chi lo sostituisce. Questo l’aspetto logistico-organizzativo.
Più importante e preoccupante invece è l’aspetto operativo-decisionale. A volte il/la preside inizia i lavori esordendo: “nell’altra classe, appena scrutinata, non abbiamo bocciato nessuno!” oppure “solo uno che però non veniva mai, ritirato di fatto”. Chiunque capisce che questo è un robusto … aperitivo del c.d. “buonismo”. Poi lo scrutinio prosegue col definire le situazioni individuali che hanno numerose e gravi insufficienze: oltre sei o sette insufficienze – in genere ma non sempre - non c’è scampo, gli alunni vengono bocciati. Intorno alle cinque o sei insufficienze, indipendentemente dalla loro gravità, si comincia a discutere a confrontarsi. Non si parte dalle indicazioni del Collegio ma dall’opportunità di bocciare l’alunno con riferimento (in genere sotto traccia) alla consistenza numerica della classe. I riferimenti, gli appigli possono essere i più vari: dalle capacità e potenzialità possedute ma non espresse, alla situazione familiare disastrata, all’ipotesi dell’eventuale abbandono della scuola, a minimi miglioramenti di profitto o comportamentali,… insomma non è affatto raro (anzi!) che di sei o cinque insufficienze, due o tre vengano tranquillamente condonate e le altre diventino debito per settembre. Debito formale cioè con esito positivo in genere scontato (al 95%).
Così in una classe, in cui la metà doveva essere sicuramente bocciata, solo due o tre alunni vengono respinti. Di conseguenza, si manda rinforzato un chiarissimo messaggio per l’anno scolastico successivo: non serve studiare! Da decenni, la scuola (alunni, docenti, presidi) e le scuole sono come prigioniere di un “vortice” perverso senza speranza e possibilità di poterne uscire! Ogni anno si raccolgono i frutti indigesti o velenosi dell’anno prima e si seminano quelli per l’anno dopo! Al di fuori delle scuole (cioè USP, USR, Miur ma anche partiti, sindacati, associazioni, media) questa situazione o non è percepita o non interessa (oppure fa comodo?!).
Nello svolgimento degli scrutini, lo strumento che viene usato in modo improprio e perverso, che mantiene e alimenta il “vortice” detto è il voto di Consiglio. Questo – a mio giudizio – trova la sua ragion d’essere o nei confronti di singoli (o rari) alunni con difficoltà vere e per loro insormontabili in qualche disciplina o per rimediare l’eccessiva severità di singoli (o rari) docenti. Invece l’uso del voto di Consiglio è adesso massiccio, eccessivo, generalizzato, è diventato un abuso. Le scuole ne sono diventate dipendenti come se fosse una droga! Anzi spesso il voto di Consiglio non viene nemmeno formalizzato. Per fare prima si chiede, si impone ai docenti di modificare direttamente loro le valutazioni insufficienti inizialmente proposte come se le avessero messe con leggerezza, per capriccio, dispetto, errore. Nulla compare nei verbali! E’ la scuola che mente e inganna se stessa!



Merito, rigore, scrutini finali e voto di consiglio. Quando la scuola mente e inganna se stessa!
di Vincenzo Pascuzzi da
ReteScuole, 25.7.2009

domenica 28 giugno 2009

L'esame ai tempi di Berlusconi


Condivido in pieno l'acuta analisi fatta dall'autrice di questo articolo. Il tanto sbandierato "rigore antisessantotto" del ministro Gelmini si è un po' arenato nelle sabbie della banalità e dell'esiguo spessore culturale dei testi proposti.
Ci aveva promesso il Ministro Gelmini una provvidenziale semplificazione per le tracce d’Esame. Invece, sette pagine fitte, inutilmente prolisse, fotocopie per ogni candidato, spese inutili in relazione all’esito: gli studenti, nonostante saggi brevi e articoli di giornale e testi di riferimento, svolgono sempre un tema tradizionale.
Analizziamone qualcuna.
1. Tipologia A - Analisi del testo
Fiacche e inutili le richieste su Svevo: un riassunto senza finalità, un commento di “sufficiente ampiezza”. Tuttavia, lo studente che avesse letto il Romanzo, ha potuto scrivere, anche al di là delle domande.
2. Tipologia B – Saggio breve o articolo
Per l’ambito Artistico – letterario, l’argomento da trattare è “Innamoramento e amore” e, di conseguenza, il primo testo su cui si devono impegnare le dotte chiose dei nostri studenti, è di Francesco Alberoni, cui fanno da corollario, buoni secondi e terzi e poi a seguire, Catullo, Dante, Leopardi, Gozzano e Cardarelli.
Il maestro di pensiero è quindi, per i nostri esperti, Francesco Alberoni il cui omonimo libro, del ’79, è indicato come del 2009, forse per indicarne la permanente attualità e spingere alla vendita di qualche ulteriore copia, vista la ristampa.
Nessun insegnante di Italiano che si rispetti sottoporrebbe agli studenti un testo simile, se non come testo di discussione per desumerne le inconsistenze linguistiche e le ragioni sociologiche del successo.
Come è la luce per Alberoni? Accecante. Qual è il premio per la vita? La felicità. Come è la vita cui ci porta l’innamoramento? Superiore. Com’è la condizione dell’innamoramento? L’estasi e il tormento, il paradiso o l’inferno. E tristi tropi linguistici di tal genere.
E dire che ancora qualche buon docente fa lezioni di stile in cui l’aggettivazione e la costruzione linguistica si insegna e si sorveglia. Come è la notte? Non certo buia e tempestosa.
3. L’ambito storico-politico è dedicato alla cultura giovanile. Le immagini proposte, da James Dean alla Parigi del 1968, dai pacifisti a Facebook, danno occasioni di commento per uno studente di buono spessore culturale. Sono i testi invece a guidare lungo le linee ideologicamente implicite dei compilatori della proposta: dal buon Hobswam, sempre di spessore, a tale L. Tomasi, che non sono riuscita nemmeno a trovare in internet, che qualche anno prima del 2000 scrive che la “cultura giovanile sta ad indicare l’intrinseca capacità che i giovani hanno di autodefinirsi nei loro comportamenti valoriali all’interno della società di cui sono parte”. Il percorso insomma passa dalla contestazione all’autodefinizione. Sono passati dieci anni e gli esperti del Ministero non hanno trovato nulla di nuovo sui giovani? Dove vivono? In quale bolla atarassica? Bastava prendere qualche pagina degli ultimi rapporti CENSIS sui giovani, tanto per indicare testi non troppo connotati, per tirar fuori il naso dalla bolla.
4. L’ultima chicca è la traccia di ordine generale che tutti si aspettavano. Lo avevo dato come scommessa al cento per cento: i vent’anni dalla Caduta del Muro di Berlino.
Su tale nodo della storia, nessuna richiesta di approfondimento, di valore storico precisamente.
Bisogna invece che il candidato esprima la propria opinione sul significato di “libertà” e “democrazia”. Concetti difficilissimi se non connotati di spessore storico, abusati anche nelle denominazioni dei partiti che quanto meno hanno all’interno forme di discussione e procedono per acclamazioni, tanto più si fregiano della parola libertà. Per non parlare del concetto di democrazia su cui si è aperto un dibattito ampio e interessantissimo negli ultimi anni che sfugge agi nostri esperti (chi sono mai?).
E poi, un consiglio, sempre agli ignoti esperti: diano del Lei agli studenti, almeno nelle richieste degli Esami di Stato. Ancora qualche bravissimo insegnante usa il Lei con gli studenti. Sono i più bravi e i più autorevoli senza falsi buonismi di superficie
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di Beatrice Mezzina

I nostri amici cani!



Quest'estate possiamo anche abbandonare la città, ma non abbandoniamo i nostri cani!

sabato 20 giugno 2009

L'altra opinione: perchè si può bocciare.


Riporto un articolo del "Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità"

La bocciatura può essere un'occasione, il vero scandalo è il buonismo
Finalmente, viene da dire, il re è nudo, perché dietro all’aumento delle bocciature si può intravedere una scuola nuova che inizia finalmente a dare segni di vita, a fare fino in fondo il proprio dovere, cominciando a trovare il coraggio di prendersi responsabilità che da anni, in generale, non era in grado di prendersi.
Questi dati confermano, anziché il fallimento della scuola, come molti pensano e dichiarano, il vero scandalo durato fin troppo a lungo: quello di aver promosso generazioni di studenti in nome del buonismo o del quieto vivere o per i più svariati timori, non ultimo quello dei ricorsi. Insomma, contrariamente ai molti allarmismi che imperversano un po’ da tutte le parti per i risultati di quest’anno scolastico, mi provo ad andare controcorrente e giudico di buon auspicio quanto è avvenuto. Penso, insomma, che dovremmo rassicurare le famiglie, anche dei bocciati, facendo loro capire che stanno inequivocabilmente per finire i tempi squallidi del diploma “pezzo di carta” da spendere grazie alle raccomandazioni di varia natura, non ultime quelle di stampo clientelare e politico. Non mi dilungo sulle dinamiche economico-sociali che cancelleranno certo costume tipico più di un paese da operetta che non di una nazione che dovrà, oggi più che mai, misurarsi sul piano della competitività e di un’economia sempre più legata alla conoscenza. Mi preme, invece, ricordare e ripetere che solo una scuola in grado di valorizzare il merito può rappresentare un vero ascensore sociale per chi non può contare su clientele o radici familiari fin troppo ramificate nel mondo dei privilegi. Per troppo tempo si è identificato il successo scolastico come patrimonio da distribuire equamente a tutti, impedendo così che si diffondesse, soprattutto tra le famiglie più svantaggiate e povere, la consapevolezza di quanto, invece, proprio la scuola sia importante per ribaltare la loro condizione, spesso storicamente consolidata grazie a chi dalla scuola aveva e continuava ad avere i mezzi e gli strumenti per diventare classe dirigente. Solitamente per molti gruppi politici e per molte delle sigle del sindacato scolastico, la qualità della scuola la si è voluta vedere piuttosto sulla quantità (numero esoso delle materie con corrispondente elevatissimo numero dei docenti, orari scolastici lunghi e tempi della didattica ancora organizzati secondo modelli, non è un’esagerazione, seicenteschi) che non sulla sua qualità: guai a parlare di verifica dei risultati, di valutazione dei docenti e dei dirigenti e via di seguito. Ogni minimo accenno ai principi del pragmatismo da applicare anche al sistema scolastico era ed è ancora oggi esecrato più di quanto don Milani esecrasse i giovani operai del Mugello che alla domenica si mettevano la cravatta. L’irrisione nei confronti delle tre “i” ha contribuito a tener fuori dalla modernità chissà quanti figli di chi con il computer, l’inglese e tanto più con l’impresa, non aveva e non ha niente da spartire. Eppure sono molti i politici e i sindacalisti contrari alle tre “i” che hanno accortamente fatto studiare i loro figli negli Stati Uniti o nelle migliori università italiane ed europee.
Ma torniamo alla bocciatura. Ovvio che non sia una bella cosa ed altrettanto ovvio che si debba fare di tutto per rimuovere qualsiasi ostacolo che impedisce ai più svantaggiati di godere dei frutti straordinari che una buona scuola può dare. Ma se non bocciare rappresentava, come per certi insegnanti ancora rappresenta, una lotta contro le ingiustizie “di classe” o più banalmente ignavia o superficiale senso di bontà o ancora paura di affrontare le reazioni dei genitori, ben venga questo aumento di bocciature. Può rappresentare finalmente una svolta, un salutare scossone per chi alla scuola ha finito con l’assuefarsi senza dare o attendersi nulla, siano essi docenti, famiglie o studenti.
Do per scontato che la scuola debba formare, prima ancora della classe dirigente, dei buoni cittadini, liberi e appagati innanzitutto dalla loro cultura e dal loro senso critico. Anche per questo trovo che sia esecrabile vedere nella bocciatura solo un’esclusione, una sconfitta per la scuola e non un’occasione per aiutare il maggior numero possibile di giovani a diventare, a tutti gli effetti, dei cittadini degni di questo nome.


di Valerio Vignoli

giovedì 18 giugno 2009

Dispersione scolastica, altro che rigore!

Scuola del rigore? Per i pedagogisti la dispersione dimostra la crisi del sistema e tanti ragazzi che restano negli istituti costano allo Stato miliardi in più
Aumentano i bocciati alle superiori. E il costo dell'insuccesso scolastico schizza alle stelle. Gli scrutini sono ancora in corso in moltissimi istituti italiani ma i primi risultati raccontano di un forte incremento di studenti che non ce l'hanno fatta a superare l'anno scolastico. Tanto tuonò che piovve, recita un antico adagio. Insomma: il pugno di ferro auspicato dal ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini, sta producendo i primi effetti. Un risultato che può essere interpretato in diversi modi.
Ieri pomeriggio, contrariamente alla tradizione, viale Trastevere ha fornito alla stampa un primo assaggio dei dati che le scuole stanno inviando al cervellone del ministero dell'Istruzione. Su un campione del 10 per cento degli istituti di istruzione superiore, la percentuale di non ammessi alla maturità è aumentata dell'1,6 per cento. Della stessa quota si è incrementato il numero di bocciati nelle classi intermedie.
"Non è mai bello - ha dichiarato il ministro Gelmini al Tg1 - che un ragazzo perda l'anno però io credo che questo aumento delle bocciature stia a significare il ritorno ad una scuola dell'impegno, ad una scuola del rigore, ad una scuola che prepara i ragazzi alla vita". L'assunto è quindi: più bocciati, maggiore rigore e serietà. Esattamente l'opposto di quello che pensano illustri pedagogisti ed esperti del settore che prendono come paradigma dell'insuccesso dell'intero sistema la cosiddetta dispersione scolastica: bocciature, evasioni e abbandoni.
Se verranno confermati i primi 'exit poll' ministeriali, i numeri raccontano un mezzo disastro. Oltre 372 mila bocciati, pari al 15,4 per cento, nelle classi che vanno dalla prima alla quarta. E un numero di non ammessi agli esami mai registrato da quando è stata ripristinata l'ammissione: quasi 6 per cento, pari a 28 mila non ammessi. Le novità introdotte quest'anno per l'ammissione alla maturità sono due: voto di condotta e media del 6 per accedere alle prove d'esame. Per le classi intermedie l'unica novità è il voto di condotta. Cambiamenti che da soli non giustificano un incremento di bocciature. Probabilmente, a determinare l'impennata di non promossi è stato il clima di rigore "auspicato" dal governo e fatto proprio da una parte dei docenti italiani. Ma lo scopo del pugno di ferro non era quello di indurre gli studenti ad un maggiore impegno e ridurre le bocciature?
Basta trasformare in euro i numeri dell'insuccesso scolastico per comprendere la gravità della situazione. I 372 mila bocciati e i 28 mila non ammessi alla maturità consegnano all'anno scolastico, ormai agli sgoccioli, 400 mila insuccessi. Cui andrebbero aggiunti i ritirati e coloro che si sono iscritti ma che non hanno mai frequentato. Quattrocento mila ragazzi che con tutta probabilità rifrequenteranno la scuola statale stazionando in classe almeno un anno in più. E siccome il costo di uno studente della scuola superiore supera i 7 mila e 600 euro l'anno, va da sé che l'insuccesso scolastico grava sulle casse dello stato per 3 miliardi di euro, con un incremento nel solo 2008/2009 di 300 milioni. Anziché tagliare cattedre e finanziamenti e contemporaneamente spendere di più per la dispersione, non si potrebbero investire maggiori risorse per cercare di aumentare il successo scolastico?

da La Repubblica del 17/06/2009

domenica 14 giugno 2009

Retribuzione periodo durata esami


Personale docente con contratto a tempo determinato diverso da supplenza annuale, designato componente di Commissione negli Esami di Stato. Attribuzione della retribuzione contrattuale per il periodo di durata degli esami.



Ecco il link


http://www.gildains.it/normativa/nota14187_110709_prorogasupplenze.pdf

sabato 13 giugno 2009

Due nuovi licei: coreutico e delle scienze umane


Sei licei al posto di 396 indirizzi sperimentali, 51 progetti assistiti dal Miur e sperimentazioni; nascono il liceo musicale e coreutico e quello delle scienze umane; più ore di materie scientifiche e di lingue; la possibilità, a partire dal secondo biennio, di svolgere l'alternanza scuola-lavoro con stage o collegamenti con il mondo dell'alta formazione (università, istituti tecnici superiori, conservatori, accademie); più flessibilità per gli istituti.
Sono queste le principali novità contenute nella riforma dei licei approvata in prima lettura oggi dal Consiglio dei Ministri e definita «epocale» dal ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini. Il nuovo modello partirà gradualmente, coinvolgendo a partire dall'anno scolastico 2010-2011 le prime e le seconde, per entrare a regime nel 2013. Per il Ministero la riforma servirà a fornire maggiore sistematicità e rigore e coniugare tradizione e innovazione; razionalizzare i piani di studio, privilegiando la qualità e l'approfondimento delle materie di studio; caratterizzare accuratamente ciascun percorso liceale; riconoscere ampio spazio all'autonomia delle istituzioni scolastiche; consentire una più ampia personalizzazione, grazie a quadri orari ridotti che danno allo studente la possibilità di approfondire e recuperare le mancanze.
Rispetto al vecchio impianto che prevedeva solo il liceo classico, il liceo artistico e lo scientifico, oltre all'istituto magistrale quadriennale e a percorsi sperimentali linguistici, con la riforma avremo il Liceo artistico articolato in tre indirizzi (arti figurative; architettura, design, ambiente; audiovisivo, multimedia, scenografia), il Liceo classico (con l’introduzione dell'insegnamento di una lingua straniera per l'intero quinquennio), il Liceo scientifico (con l’opzione "scientifico-tecnologico" che consentirà l'approfondimento della conoscenza di concetti, principi e teorie scientifiche e di processi tecnologici, anche attraverso esemplificazioni operative), il Liceo linguistico (con l'insegnamento di 3 lingue straniere: dalla terza liceo un insegnamento non linguistico sarà impartito in lingua straniera e dalla quarta liceo un secondo insegnamento sarà impartito in lingua straniera). Le new entryGli altri due licei sono una novità: si tratta del Liceo musicale e coreutico e del Liceo delle scienze umane. Il primo sarà articolato nelle due sezioni musicale e coreutica: inizialmente saranno istituite 40 sezioni musicali e 10 coreutiche e potranno essere attivati in collaborazione con i conservatori e le accademie di danza per le materie di loro competenza; l’altro sostituisce il liceo sociopsicopedagogico portando a regime le sperimentazioni avviate negli anni scorsi: il piano di studi di questo indirizzo si basa sull'approfondimento dei principali campi di indagine delle scienze umane, della ricerca pedagogica, psicologica e socio-antropologico-storica. In questo caso le scuole potranno attivare l'opzione sezione economico-sociale in cui saranno approfonditi i nessi e le interazioni fra le scienze giuridiche, economiche, sociali e storiche. Il nodo del latinoTra l’altro la riforma prevede la valorizzazione della lingua latina (presente come insegnamento obbligatorio nel liceo classico, scientifico, linguistico e delle scienze umane e come opzione negli altri licei); l’incremento orario della matematica, della fisica e delle scienze (fisica e scienze potranno essere attivati dalle istituzioni scolastiche anche nel biennio del liceo classico); il potenziamento delle lingue straniere (presenza obbligatoria dell'insegnamento di una lingua straniera nei cinque anni ed eventualmente di una seconda lingua straniera usando la quota di autonomia); la possibilità di introdurre discipline giuridiche ed economiche nel liceo scientifico (opzione tecnologica), nel liceo delle scienze sociali (opzione economico-sociale), sia negli altri licei attraverso la quota di autonomia; l’insegnamento, nel quinto anno, di una disciplina non linguistica in lingua straniera.Diminuisce l'orarioPrevisti inoltre quadri orari annuali più adeguati a quelli dei Paesi che hanno raggiunto i migliori risultati nelle classifiche Ocse Pisa (tutti i licei prevederanno 27 ore settimanali nel primo biennio e 30 nel secondo biennio e nel quinto anno, ad eccezione del classico - 31 ore negli ultimi tre anni - dell'artistico - massimo 35 - del musicale e coreutico - massimo 32 ore). Per quando riguarda le novità per gli istituti la nuova organizzazione dei licei prevede una maggiore autonomia scolastica (possibilità di usufruire di una quota di flessibilità degli orari del 20% nel primo biennio e nell'ultimo anno e del 30% nel secondo biennio per diversificare le proprie sezioni, ridurre o aumentare gli orari delle discipline); la possibilità di attivare ulteriori insegnamenti opzionali anche assumendo esperti qualificati attraverso il proprio bilancio; un rapporto più forte scuola-mondo del lavoro-università (con la possibilità, a partire dal secondo biennio, di svolgere parte del percorso attraverso l'alternanza scuola-lavoro e stage o in collegamento con il mondo dell'alta formazione); nuove articolazioni del collegio dei docenti (costituzione in ogni scuola di dipartimenti disciplinari che riuniscono i docenti di uno stesso ambito disciplinare e di un "comitato scientifico" composto paritariamente da docenti ed esperti del mondo della cultura e del lavoro).
La Stampa del 12/06/2009

mercoledì 10 giugno 2009

Nuove classi di concorso

Grazie all’accorpamento delle discipline similari si va verso il dimezzamento delle le tabelle A e C. Ma alcune discipline, come “Matematica” e “Matematica applicata” rimarranno distinte. Sparirà invece la tabella D, assieme agli istituti d’arte. I sindacati protestano per l’ipotesi delle riconversioni “senza oneri per lo Stato”: un’altra tassa a carico dei docenti?
Una revisione importante, ma non si può parlare di stravolgimento. Così sembra delinearsi il nuovo assetto delle classi di concorso che il ministero dell’Istruzione si appresta a cambiare in vista sia dei tagli previsti, da settembre, per effetto dell'art. 64 del D.L. 112 e per l’adozione della riforma della scuola secondaria superiore, a partire dall’a.s. 2010-2011. Molte delle novità serviranno, prioritariamente, per trovare sistemazione alle non poche migliaia di docenti che entro i prossimi tre anni si ritroveranno in sovrannumero: per favore il “travaso” il Miur ha deciso di accorpare le classi di concorso affini. E con l’occasione di eliminare quelle anacronistiche. Oltre che di aggiungerne alcune, anche se non troppe, del tutto nuove.
Nell’incontro-informativa tenuto a viale Trastevere l’8 giugno con i sindacati, il direttore generale Luciano Chiappetta ha spiegato ai sindacati nazionali che l’attuazione del piano è necessaria “sia per assicurare omogeneità alle classi di concorso che per attuare quel risparmio di cui tanto si parla nella riforma”.
Il ministero ha già predisposto un decreto, con dei corposi allegati, consegnati alle organizzazioni sindacali, nel quale si prevede quasi un dimezzamento delle tabelle A e C. Oltre che la sparizione della D, soprattutto per la cessazione degli istituti d'arte, le cui discipline d’insegnamento residue sono state assorbite dalla A. In base a quanto fatto sapere dalla Gilda degli insegnanti, il risultato finale è che la tabella A verrebbe ridotta “da 99 a 58 classi di concorso”, mentre la C “a 30 classi di concorso”.
L’impianto base attuale della tabella A, quello tramite cui opera la grande maggioranza del personale docente delle medie e superiori, rimarrà sostanzialmente immutato: per esempio la A17 e la A19, riguardanti discipline economiche e di diritto, pur avendo fatto registrare grossi problemi gestionali (con pochissimi docenti assunti a fronte di un enorme numero di supplenti per effetto dello “spezzettamento” delle cattedre) rimarranno in vita senza alcuna modifica. E nemmeno tutte le materie affini verranno accorpate: “Matematica” e “Matematica applicata”, ad esempio, dovrebbero rimanere entrambe in vita.
Spariranno, invece, alcune classi di concorso: come la C555, ex tecnica dei servizi, la C999, enti locali, la n. 23 e la n. 30, esercitazioni di comunicazione ed esercitazioni di economia domestica. Un logico, scontato, futuro da classe di concorso unica è previsto anche per la A075 ed A076, che riguarderanno solo gli istituti professionali e non più gli istituti tecnici.
Tra le intenzioni del Miur c’è anche quella di abilitare i docenti per tutte le classe di concorso accorpate in un’unica area: “per esempio, nell'area delle lingue, un unico concorso – ha spiegato sempre la Gilda - abiliterà sia la prima lingua inglese che la seconda lingua comunitaria, e potranno essere insegnate indistintamente tutte e due”.
Proteste, peraltro già espresse dai sindacati nell’incontro dell’8 giugno, si prevedono invece per la scelta del ministero dell’Istruzione di operare la riconversione professionale dei docenti “senza oneri per lo Stato”. A tal proposito la Cisl ha già “richiamato l'esigenza di specifici investimenti per sostenere adeguatamente le operazioni di riconversione, necessarie per la riutilizzazione del personale in soprannumero”. Se il Miur non torna sui propri passi, per i docenti senza più titolarità sarebbe una vera beffa: non solo trasferiti, ma anche costretti a riconvertirsi pagando di tasca propria.

venerdì 1 maggio 2009

Genitori in crisi?

Padri che chiedono alla maestra di comunicare al figlio la morte della moglie/mamma. Madri che pretendono di entrare a scuola per allattare il bambino di cinque anni. Genitori inviperiti perché la classe è stata spostata al secondo piano e la scuola non accetta di alleviare la fatica dei figli caricando gli zaini in ascensore. Madri che chiedono di non portare alla materna il bimbo quando piove e altre - molte altre - che «pretendono» dalle scuole elementari l’autorizzazione a far saltare un numero imprecisato di lezioni per partecipare a casting e riprese cinematografiche.
Il catalogo di comportamenti che dichiarano la «crisi» del ruolo di genitore è lungo. L’ha stilato - verbalmente, almeno per ora, durante una tavola rotonda promossa dall’Ufficio diocesano di Pastorale della Famiglia - Loredana Orlandini, dirigente scolastica in un istituto comprensivo di una periferia torinese. Non si pensi a problemi legati a una particolare situazione di svantaggio sociale. Siamo a Mirafiori, ma la preside Orlandini assicura che dal confronto con i colleghi emergono comportamenti trasversali ai quartieri, alle condizioni economiche, ai livelli di istruzione.
È la bandiera bianca alzata da padri e madri. Loredana Orlandini ha proposto una gamma di esempi, a partire dall’incapacità di parlare della morte di una persona cara e vicina. «Abbiamo avuto alcuni casi - ha raccontato - di genitori che hanno chiesto alle maestre di comunicare al figlio la morte della mamma, del nonno. Salvo situazioni eccezionali, che abbiamo anche incontrato e che hanno richiesto l’intervento dello psicologo e dei servizi sociali, la comunicazione di un lutto molto doloroso va affrontata in un contesto di famiglia. Un papà ha mentito al bambino per settimane sulla morte della mamma, chiedendo alle maestre di dire ciò che lui non riusciva a dire. Ma anche la morte del cagnolino spesso non viene affrontata con maggiore coraggio». Spiegazioni? «La famiglia non sa più preparare alla vita, è semplicemente emotiva ed affettiva. I genitori sono fragili e non riescono a tollerare la frustrazione del loro bambino. Che deve essere al riparo da ogni sofferenza». Così, il dolore viene allontanato, edulcorato...
Molto più «in basso» rispetto al tema del lutto, ci sono altri momenti di passaggio, altre «crisi» del processo di crescita, che vengono rimandati, allontanati. Loredana Orlandini ha raccontato di «bambini di 8 anni che in piscina non sanno riconoscere i loro pantaloni perché la madre continua a vestirli come quando avevano un anno, che dormono con il ciuccio o che lo mettono da parte solo a scuola, di bimbi di 4-5 anni che continuano ad usare biberon e pannolini».
Per la preside, che di figli ne ha avuti tre, ormai grandi, «certi comportamenti sono un’abdicazione al ruolo di accompagnatori nelle fatiche e piccole o grandi responsabilità della vita». Altri esempi? «Davanti alla scuola materna c’è un problema nuovo: non si sa dove mettere i passeggini. I genitori dicono che i figli, anche di 5 anni, non vogliono camminare così li scarrozzano. Fanno più in fretta ed evitano discussioni. Questo aiuta anche a comprendere perché troppi bambini non sono più capaci di camminare su un terreno che non sia un pavimento liscio. Quante volte mi sono sentita dire che in giardino devo coprire di terra tutte le radici, altrimenti i bambini inciampano. Vorrà dire qualcosa se a sei anni per scendere una scala devono fermarsi ad ogni gradino?».
A proposito di scale, qualche tempo fa c’è stata una protesta perché gli alunni di una seconda elementare erano stati spostati dal piano terra al secondo piano per far posto a una prima con bimbi disabili. «I genitori erano sul piede di guerra - ricorda la preside -, volevano che caricassimo gli zainetti in ascensore. Allora ho organizzato un incontro con un esperto che ha chiarito in modo scientifico come i bambini, a quell’età, non abbiano difficoltà a salire due piani di scale con lo zainetto in spalla. L’idea diffusa è che i figli siano sempre troppo piccoli per affrontare le difficoltà».

Maria Teresa Martinengo, La Stampa 30.4.2009

domenica 15 marzo 2009

Per chi perde il lavoro nella scuola: nuove prospettive!


Dunque, facendo i conti per sommi capi, la situazione nella scuola è questa. Dall’anno prossimo, migliaia di insegnati perderanno il posto e saranno deportati d’ufficio, strappandoli al contesto in cui hanno costruito per anni; migliaia di precari finiranno in mezzo alla strada; migliaia di bambini perderanno l’insegnante che da anni amano ed è loro compagno di lavoro; migliaia di stranieri finiranno nelle classi per non ariani; migliaia di progetti culturali e didattici verranno cancellati alla radice; eccetera. Insomma, dalle stelle alle stalle, anzi al letamaio vero e proprio. Ma, come dice il Presidente del Consiglio, bisogna essere ottimisti, e per una prospettiva che si chiudono altre se ne aprono, più nuove ed originali, nelle quali un nuovo futuro si presenta. Per esempio, forse saprete che in queste settimane in Padania (?!) si è aperta una Scuola per Ronde. All’inaugurazione erano presenti il Questore e il Prefetto, un Colonnello della Guardia di Finanza, un Colonnello della Guardia Forestale e il Comandante di una Stazione di Carabinieri. Quanta gente importante, e quante maiuscole. Certo, io quelli non li ho mai visti fuori dalla mia scuola, a verificare la gioia dei bambini che escono felici dopo una giornata di insegnamento, ti fanno ciao con la manina e ti dicono: ‘Arrivederci a domani’. Ma chi volete che se ne freghi dei bambini: non votano mica, ‘sti scemi. Premesso comunque che di sicuro io non ci manderei mia figlia – piuttosto la mando ad una scuola di addestramento per pastori tedeschi, così almeno impara a comportarsi bene a tavola – devo confessare – deformazione professionale, che volete – che sono stato molto curioso di sapere come verrà strutturata e quali saranno i suoi contenuti didattici. Ho discretamente indagato, e da un amico del luogo sono riuscito ad avere il programma dei Seminari del primo anno di corso.
Leggetelo attentamente, e se vi pare di possedere qualcuna di queste competenze e avete perso il posto telefonate: c’è un’altra occasione per voi.


  1. Dal "nodo gordiano" al nodo scorsoio: usi della corda attraverso i secoli.

  2. Miele, pece o catrame? Proprietà organolettiche e resa pratica delle più comuni sostanze utili all’impiumatura.

  3. Il linciaggio in breve, dall’inseguimento coi cani alle croci di fuoco.
    Studi sull’isocronia del pendolo applicata ai corpi appesi.

  4. Arredo urbano e differenze razziali: come armonizzare il colore della pelle dell’appeso col fogliame dell’albero.

  5. La caccia all’immigrato: tecniche. a) l’immigrato ‘al naturale’; b) l’immigrato travestito da lepre

  6. Il rogo nella storia d’Europa.

  7. Il palo nella tradizione popolare, dall’Albero del Maggio al pilone della luce al segnale stradale: funzionalità ed usi.

  8. Nozioni elementari di linguistica razziale: i richiami. Da ‘negro di merda’ a ‘sporco rumeno’.


  9. La Costituzione Italiana: nuove prospettive. Da manuale di barzellette a carta da imballaggio per formaggi e salumi.


Garantiamo sulla indiscussa competenza dei relatori dei singoli "pacchetti formativi".
Affrettatevi, dunque: i posti sono limitati. Ai primi cento iscritti, in omaggio un barattolino di catrame ed un cuscino di piume.

di Giuliano Corà, Pavone Risorse 14.3.2009

sabato 7 marzo 2009

All'Università in Inghilterra


Saranno i tagli che incombono sulla scuola e la ricerca italiane. Sarà la sterlina debole. Sarà la voglia di respirare la cultura inglese o la certezza che imparare alla perfezione la lingua di Shakespeare spalancherà anche le porte più pesanti del mondo del lavoro. Fatto sta che gli italiani sono sempre più attratti dalle università britanniche. Le loro domande di ammissione viaggiano online verso le blasonate Oxford e Cambridge, ma anche Brighton, Leicester, gli atenei di Londra. Un processo, quello di ammissione, che è già di per sé un ostacolo: la domanda è il primo esame che inaugura il corso di studi. Il percorso non è semplice per chi non ha buona padronanza della lingua. Ma gli italiani, in questo senso, si sono già dati da fare e hanno sfoderato la loro proverbiale "arte di arrangiarsi". Il dato. Sono sempre più gli "Italians" che scelgono di andare oltre Manica dopo la maturità: tra il 2008 e il 2009 le richieste sono aumentate del 21% secondo l'Ucas, l'agenzia che si occupa della gestione delle domande di ammissione alle lauree di primo livello, i cosiddetti "undergraduate degrees". Gli italiani che hanno inviato le domande erano 958 nel 2008, sono 1.160 quest'anno. Certo meno dei francesi, che sono più di 2mila, o dei cinesi (3.641), ma è la percentuale di crescita che fa la differenza: solo 7,5% tra 2008 e 2009 per gli studenti del Paese del Dragone e 14,4% per la Francia. Insomma, sembra che gli italiani si stiano svegliando dal torpore degli stereotipi che li vogliono restii a lasciare la casa di mamma e papà.
Senza contare che ci sono quelli impegnati in specializzazioni, master e dottorati: un universo più frammentato al quale si accede facendo richiesta alle singole università o tramite
l'agenzia Ukpass, dove però non sono rappresentati tutti gli atenei. Dopo la maturità. Per diventare "fresher", matricole, bisogna darsi da fare almeno un anno prima dell'inizio dei corsi. La scadenza per la consegna delle domande di ammissione è in genere il 15 gennaio, anche se alcune facoltà letterarie posticipano a marzo e altre, come medicina, ma anche i corsi di Oxford e Cambridge anticipano a ottobre. Il sistema che smista le richieste è centralizzato: si fa tutto in rete, tramite il sito dell'Ucas. Nel modulo di registrazione si inseriscono i dati personali, il curriculum di studio e si indicano le facoltà e le università per le quali si fa domanda (un massimo di cinque, ma in alcuni casi scende a quattro). Oltre alle informazioni personali, bisogna allegare anche il "reference", una lettera di presentazione del candidato scritta dall'insegnante di inglese e preferibilmente anche da un docente della materia scelta. Non basta: l'aspirante universitario deve inviare un "personal statement", una lettera alla commissione esaminatrice in cui illustra le proprie caratteristiche, le ragioni che lo spingono a fare domanda, le aspirazioni. E' una pratica pressoché sconosciuta in Italia, ma molto diffusa all'estero: l'autopromozione, l'idea che bisogna guadagnarsi il posto vendendo il "prodotto" che siamo. Il prezzo dell'istruzione. E' vero che studiare all'estero non è alla portata di tutti, ma negli ultimi anni, anche grazie al fatto che la Gran Bretagna dà agevolazioni agli studenti dell'Unione Europea, è diventato molto più semplice. Il costo non è uniforme, dipende dalla facoltà e dall'ateneo. Per farsi un'idea, però, basta guardare la tabella del sito Education Uk dove viene segnalato il prezzo medio degli "undergraduate degrees": si va dalle 4mila alle 21mila sterline l'anno, cioè da 4.500 a 23.000 euro circa. Ce n'è per tutte le tasche. All'università di Leicester, ad esempio, uno studente Ue può frequentare un "undergraduate programme" per 3.145 sterline l'anno, più o meno 3.500 euro l'anno. "Il costo della vita a Leicester è più basso rispetto ad altre città britanniche - si legge sul portale dell'università - con 640 sterline al mese (718 euro, ndr) uno studente riesce a coprire tutte le spese, dalla casa ai libri, al cibo".
Chi decide di studiare in Uk, deve considerare anche che non mancano le borse di studio
(vedi il database) e che mantenersi con lavori part-time, dentro o fuori dai campus, non è un'impresa impossibile. Prima di inoltrare le domande, quindi, sempre meglio setacciare i siti delle singole università per avere un'idea sul costo delle rette e la possibilità di correre per una borsa di studio. Confusi? Ci si può aiutare con l'International student calculator, uno strumento online per fare il bilancio di entrate e uscite, le previsioni, calcolare le possibilità. Conoscenze linguistiche. La stessa domanda di ammissione è una verifica del livello di inglese, ma non esclude che si possa "barare", affidandosi troppo a dizionari, amici o internet per colmare le lacune. E allora ecco che le università potrebbero richiedere altro: un colloquio, una tesina oppure un certificato internazionale come gli esami di Cambridge o un punteggio minimo nei test Ielts. "Dal 2006 a oggi il numero degli italiani che fanno l'Ielts è cresciuto dell'80%", spiega Irene Manca, manager dell'ufficio esami del British Council, l'ente che detiene il marchio Ielts e si occupa della diffusione della cultura inglese nel mondo. L'Ielts si fa anche per avere un attestato da usare sul lavoro. "Ma almeno il 50% lo utilizza per accedere a corsi di studio", spiega Manca. Corsi che, oltre che in Gran Bretagna, possono essere anche in America o Australia. Le consulenze. Se la destinazione scelta è il Regno Unito, non si è soli di fronte alla barriera dell'iscrizione: sono diverse le agenzie italiane che, oltre a offrire servizi per affittare case e prenotare vacanze, danno consulenze sulle domande.
"Ultimamente sono aumentate sia le richieste per aprire business sul suolo inglese sia per studiare all'università", dice Fabio Busatto, che insieme a Samuele Scodeggio ha creato e gestisce l'agenzia
Sognando Londra. "Le facoltà più richieste sono business management, marketing e ingegneria", aggiunge Busatto. Nel loro forum i ragazzi cercano risposte per pianificare gli studi a Londra, consapevoli del fatto che affrontare esami universitari in inglese non è una passeggiata.
Ma è giusto che lo studente affronti la prima prova, quella dell'iscrizione, con il supporto di un'agenzia? "E' una cosa molto 'italianà e non si dovrebbe fare - afferma Irene Manca - bisognerebbe avere da subito il livello richiesto di lingua". "E' una scelta personale e legale - ribatte Busatto - si tratta di consulenze, come quelle che danno i commercialisti sulla dichiarazione dei redditi". "La conoscenza non approfondita della lingua si rispecchia nei voti, ma anche nel tipo di università a cui si riesce ad accedere, non tutte sono allo stesso livello", sostiene Manca. La storia di Irene basta a chiarire quello che secondo lei è il percorso ideale da seguire. "Mi sono preparata prendendo lezioni private da una madrelingua durante le superiori - racconta - poi sono stata un anno a Londra, studiavo e lavoravo, prima di iscrivermi a business administration". Impegno e dedizione che non possono essere improvvisati, "of course".

La Repubblica, 6 marzo 2009

lunedì 23 febbraio 2009

Corsi di recupero?


L’OM 92/2007 di Fioroni è ancora formalmente in vigore e obbliga, o obbligherebbe, le scuole superiori a organizzare i corsi di recupero, ciascuno di almeno 15 ore. Le scuole vorrebbero adempiere ma non hanno i soldi, il ministero non glieli ha dati e non glieli dà. Però lo stesso MIUR ha emesso la circolare n. 12 del 2.2.2009 in cui, tra l’altro, promette che darà (in futuro) alle scuole 55 mln di euro. Vuol dire 12 euro per debitore e per debito. Ciò con riferimento a una recente stima giornalistica (forse ottimistica e relativa ai soli scrutini del 1° quadrimestre) di 1,5 milioni di alunni debitori con una media di 3 debiti ciascuno pari cioè a 4,5 milioni di debiti totali.
Pertanto le scuole, confortate e indotte anche dagli altri pilateschi contenuti della circolare citata, si stanno orientando numerose verso la c.d. “sospensione didattica”. Questa consiste appunto nella sospensione dell’avanzamento dei programmi per una o due settimane. In questa, o in queste settimane, viene effettuato il recupero che, visto la brevità dei tempi, non può essere sostanziale ma solo formale, nominale e perciò fasullo. Chiunque capisce che un quadrimestre, 4 mesi di lezioni di una qualsiasi materia non possono seriamente essere recuperati in una settimana, cioè in 3 o 4 ore o giorni di lezione, e nemmeno in due settimane. Se così fosse, gli alunni bravi, o anche solo bravini, potrebbero pretendere di condensare l’anno scolastico in un solo mese o poco più!
E’ anche vero che nel 2007, l’allora ministro Fioroni individuò - giustamente - nei debiti scolastici non saldati uno dei problemi più gravi ed annosi della scuola italiana e pensò – peccando di ingenuità e sbagliando - di poterlo risolvere in solitudine, dall’alto e d’autorità, in un solo anno, con corsetti di 15 ore e con finanziamenti insufficienti. I risultati furono – a mio giudizio – del tutto negativi: i bocciati passarono dal 14% al 16%, nel solo primo anno dal 19% al 22%, sicuramente aumentò la dispersione, ecc. In particolare, il dato drammatico e allarmante è che 1 alunno su 4 di quelli che si iscrivono per la prima volta (cioè non ripetenti) alla scuola superione viene bocciato! Qualcosa non funziona!
Ora però, l’attuale ministro Gelmini è impegnatissimo ad attuare quella che viene indicata per semplicità come sua “riforma” ma che tale non è, consistendo in una drastica e forsennata riduzione di costi a prescindere dai risultati e dagli obiettivi. Infatti non ci sono obiettivi tecnici enunciati e motivati in qualche modo. Nessuna analisi del rapporto costi/benefici. Ad esempio, mentre alcune aziende commerciali, a volte per vendere, propongono: “prendi 3 e paghi 2”, qui siamo a una specie di: “paghi 3 (invece di 4) ma prendi 2 oppure 1”. Da qui il disinteresse sostanziale sul problema debiti e nei confronti dell’OM 92.
Non ha torto chi dice che stanno smantellando la scuola pubblica.
di Vincenzo Pascuzzi, ReteScuole 22.2.2009

domenica 15 febbraio 2009

Insegnanti e discipline: cosa cambiare?


Un recente articolo di Roberto Vicini, pubblicato su un giornale, ha generato diverse reazioni (molto contrastanti tra loro) da parte dei lettori, e mi pare quindi utile tornare sull’argomento. Tale articolo non mette in discussione – se non capisco male – la disciplina quale modalità fondamentale di insegnamento/apprendimento, ma le discipline così come si sono storicamente configurate. La realtà da cui partire è il rigetto diffuso e crescente da parte dei ragazzi degli attuali curricula. Gli insegnanti/le scuole propongono un curriculum, i ragazzi non lo (ap-)prendono. Con ciò addio all’introduzione alla realtà! Questo è l’epicentro della crisi del sistema educativo, che obbliga ad una riflessione radicale.
In primo luogo: è astratto parlare di “disciplina”. Occorre tenere presente l’intera catena logico-organizzativa, all’interno della quale si situa la trasmissione del sapere umano: il sapere viene partito in “discipline”; le discipline vengono organizzate in un curriculum; il curriculum è posto dentro un ordinamento; l’ordinamento si snoda dentro un assetto istituzionale e organizzativo; il tutto cammina sulle gambe di insegnanti formati, reclutati, retribuiti in un certo modo. Per di più: l’insegnante offre una disciplina, ma ai destinatari ne arrivano mediamente dalle 10 alle 15! La disciplina, concretamente intesa, è il punto di intersezione di tutte queste dimensioni. Una struttura a cipolla. L’insegnante che offre il proprio spicchio di sapere – la “disciplina” – offre anche tutto il resto, e da tutto il resto è fortemente condizionato, se ne renda conto o no culturalmente. In secondo luogo: nel corso degli ultimi duemila anni di civiltà europea il sapere è stato partito in modi storicamente diversi, riducibili sostanzialmente a due. “Secondo l’oggetto”: il modello aristotelico dell’Organon; “secondo il soggetto”: il modello baconiano dell’albero del sapere (memoria, ragione, immaginazione).
Sullo sfondo della struttura del sapere umano dato, agli educatori si è sempre posto il problema del canone delle materie-base per l’educazione. Lo schema più diffuso, a partire dal IV secolo d. C., è stato quello del Trivio e Quadrivio, sullo sfondo di una separazione originaria tra arti liberali e arti meccaniche, che allude all’otium/negotium. Il Trivio: grammatica, retorica, dialettica (artes sermocinales), fondate sullo studio degli “auctores”, cioè di quegli scrittori che fanno crescere (augere, ma è la stessa radice di auctoritas!) il sapere; il Quadrivio: aritmetica, geometria, musica, astronomia (artes reales). L’Umanesimo/Rinascimento, ma soprattutto i secoli delle rivoluzioni scientifiche e industriali hanno dilatato incommensurabilmente il patrimonio del sapere umano, così che il vecchio Quadrivio non è stato più in grado contenerlo, mentre al Trivio è stata assicurata una vita più lunga. E’ solo con Comenius (Iohan Amos Komensky) nel ’600 che si incomincia a porre concretamente il problema della correlazione tra i processi psico-logici degli alunni e l’organizzazione logica del sapere, allorché si tratti di trasmetterlo ai ragazzi. La centralità della struttura delle facoltà umane e degli stadi dello sviluppo psicologico e mentale dei ragazzi diviene un criterio di organizzazione delle discipline. Rousseau tenta una sintesi tra il criterio oggettivo e quello soggettivo, stabilendo una sequenza pedagogica ascensionale: la natura, le cose, l’uomo. Nel 1800-1900 la classificazione del sapere e la sua trasmissione si strutturano definitivamente secondo “il criterio dell’oggetto”, sotto la spinta culturale di Hegel e Von Humboldt e di quella militare napoleonica. Roberto Vicini fa un preciso riferimento a Hegel, per il quale l’ontogenesi individuale del sapere ricapitola la filogenesi dell’intero sapere umano. Va da sé che è lo Stato il somministratore supremo di tale sapere, anche perchè lo Stato è il terreno più proprio di incarnazione di Dio nel mondo e terreno di realizzazione dell’uomo. Donde la dilatazione umanistica e enciclopedistica, cui il pensiero progressista del ‘900 ha conferito un’inesorabile aureola egualitaristica.
Le nostre attuali discipline sono figlie di questo modello. E perciò subiscono la crisi di rigetto. Sì, perché il nuovo ruolo del sapere umano come principale forza produttiva omnipervasiva – nella seconda rivoluzione industriale le forze produttive erano solo le materie prime, le macchine e il corpo umano – ha diffuso il sapere per lungo e per largo nella vita (Longlife/Widelife Learning) e, soprattutto, ha fatto saltare la millenaria separazione tra artes liberales e artes mechanicae, tra otium e negotium (Knowledge integration). L’imparare non è più confinato nella prima parte della biografia, è permanente. È mischiato con l’informazione, la comunicazione, la praxis e la poiesis. Ne consegue che l’appello al ritorno alle discipline, così come le abbiamo ereditate da Gentile, via-Hegel, ha il suono di una campana fessa. Offrire come alternativa alla brodaglia mediatica del sapere il ritorno alle istituzioni scolastiche e alle discipline di Gentile e di Hegel è una scorciatoria fondamentalistica inefficace. L’essenza di ogni fondamentalismo è appunto l’illusione di tornare alle origini per affrontare il presente/futuro. Competenze-chiave culturali, alfabeti fondamentali (literacy linguistica, matematica, scientifica), essenzializzazione del curriculum – core curriculum - non sono i prodromi di una dissoluzione tuttologica e funzionalistica del sapere trasmesso, ma campi di elaborazione necessaria, ancorché molto problematica. In parole più povere: si tratta di elaborare un nuovo curriculum, che si basa certo sulle discipline. Ma su quali e quante e dentro quale assetto ordinamentale?


Articolo dal titolo "Gli insegnanti e le "discipline": ecco cosa bisogna cambiare"
di Giovanni Cominelli,
il Sussidiario del 27.1.2009