Stanno come d'autunno sugli alberi le foglie, i precari della scuola in Campania. Ad ogni convocazione, simile a un turbine di vento, cadono a cento a cento. Alla fine ne resteranno sul terreno ben più di ottomila. E quelli che perdono la supplenza da noi non sono sempre quelli previsti o che se lo aspettano. Mi spiace ammetterlo, ma ha ragione la Lega. Al nord spesso si va solo per passare di ruolo, poi si torna giù con assegnazioni annuali, e i posti per i supplenti rimangono sempre lì. È un fenomeno in aumento, alimentato da cinici consiglieri dei precari, che porta da noi lo scompiglio tra i precari, insieme con la casualità e un'estrema incertezza. Dev'essere chiaro a tutti che le proteste e le manifestazioni vanno intensificate insieme con studenti e genitori, ma non ci si può fermare lì. Occorre costruire una proposta che salvi i precari, che parta dal personale di ruolo della scuola. Che deve manifestare loro concreta solidarietà, mettendo in discussione la tradizionale organizzazione del lavoro e perfino qualche beneficio.
La stabilizzazione dei precari, che la Gelmini rifiuta «per salvare la scuola», deve essere l'obiettivo di una proposta complessiva che innanzitutto offra una garanzia: alla fine del percorso della stabilizzazione non si sarà riformato lo stesso esercito di precari. Se non si offre questa garanzia, non c'è governo, di destra, centro o sinistra, che voglia metter mano alla soluzione del problema. Già al tempo di Berlinguer l'autonomia scolastica aveva un pilastro nell'organico funzionale, e cioè una quota di personale, stabile per un triennio, che rispondesse a tutte le esigenze di una scuola, dalle ore di lezione, alle sostituzioni, ai progetti. È rimasto un concetto: sarebbe il caso di riprenderlo in più seria considerazione. Insieme con una rimodulazione dell'orario dei docenti che preveda, in modo meno episodico, anche il tempo per la sostituzione degli assenti. Una tale organizzazione, se non elimina, riduce di moltissimo il ricorso ai supplenti. E non si dica, con qualche ipocrisia, che la proposta mette in forse la continuità didattica e il monte ore annuo di ogni disciplina, perché questi principi sono già oggi ampiamente disattesi. Se le scuole, da sole o associate tra loro, ottenessero un organico stabile pluriennale per gli insegnamenti curricolari, per quelli opzionali, tanto sbandierati dai recenti regolamenti, compresa una quota oraria per la sostituzione degli assenti, potrebbero sostenere la sfida di praticare un'autonomia sostanziale.
Per un tale progetto il ministro e il governo dovrebbero ricredersi e stabilizzare, massimo in un triennio, tutti i precari inseriti nelle graduatorie ad esaurimento: circa 250 mila persone. Contemporaneamente dovrebbero favorire e incentivare il pensionamento di tanto personale della scuola anziano, anche per abbassare l'età media dei docenti. I quali dovrebbero essere disponibili a significative ridefinizioni del loro orario di lavoro, a rinunce non facili ad annuali opportunità di trasferimenti, assegnazioni e spostamenti vari, all'uscita da graduatorie per altri insegnamenti, che con la loro presenza contribuiscono ad ingolfare. I precari, infine, a fronte della stabilizzazione, dovrebbero entrare in graduatorie che non possono non divenire nazionali, con inevitabili spostamenti per molti di loro. Se la stabilizzazione dev'essere decisa dalla legge, tutto il resto - com'è ovvio - va definito dalla contrattazione.
Un'operazione del genere darebbe respiro a ogni ipotesi di riforma seria e, soprattutto, all'autonomia delle scuole. A fronte dell'avvio di una discussione per raggiungere l'intesa, la Gelmini e il governo potrebbero sospendere già i tagli di quest'anno. E così ridare la speranza ai precari, alle scuole e ai loro alunni.
F. Buccino, La Repubblica, 4 ottobre 2009