mercoledì 17 novembre 2010

Rischio social network.


Troppo tempo davanti ai social network: profitto scolastico a rischio
A sostenerlo sono alcuni ricercatori della ‘Case Western Reserve School’ of Medicine: "più di tre ore al giorno di social networking nuocciono gravemente alla salute dei ragazzi". Il motivo è da ricercare nelle maggiori probabilità di incorrere in livelli alti di stress e depressione.
Gli studenti “incollati” ai social network rischiano di compromettere, assieme al loro stato di salute, anche il profitto scolastico. A sostenerlo sono alcuni ricercatori della ‘Case Western Reserve School’ of Medicine guidati da Scott Frank alla 138° assemblea annuale dell'American Public Health Association a Denver. Dopo aver svolto studi teorici ed empirici, gli studiosi hanno concluso che coloro che trascorrono troppo tempo sui siti di social network hanno maggiori probabilità di incorrere in livelli alti di stress e depressione. E sono a maggior rischio di consumare sostanze stupefacenti e di avere comportamenti aggressivi e bassi voti a scuola. Significativa, a proposito dello studio, la considerazione dei ricercatori: "più di tre ore al giorno di social networking nuocciono gravemente alla salute dei ragazzi".
Tra gli studenti intervistati tra i 13 ed i 18 anni, frequentanti le scuole superiori,è l'11,5% a corrispondere a questo profilo particolarmente a rischio. Gli "hyper-networkers" hanno, rispetto ai coetanei che fanno un uso più moderato del pc, il 62% di probabilità in più di aver provato le sigarette, il 79% di possibilità in più di aver provato l'alcol (e il 69% di essere forti bevitori), l'84% in più di aver fatto uso di droghe illecite, il 94% in più di avere comportamenti aggressivi e scontri fisici, il 69% di possibilità in più di avere rapporti sessuali (e il 60% di probabilità in più di avere quattro o più partner sessuali). Insomma, troppo tempo perso a cercare amici rischia di far male a se stessi e a compromettere, indirettamente, i rapporti con gli altri.

venerdì 18 giugno 2010

PROROGA CONTRATTI SUPPLENTI PER ESAMI DI STATO 2009/2010


Con la nota prot. n. 5986 del 17 giugno 2010 il MIUR conferma la validità delle istruzioni già impartite negli anni scorsi con le note 14187/07, 8556/09 e 9038/09 in merito alle proroghe dei contratti di supplenza sia al personale docente per la partecipazione agli scrutini ed agli Esami di Stato sia al personale ATA.

Nota n. 5986 del 17.6.2010. Contratti per supplenze di personale scolastico – Proroghe

giovedì 17 giugno 2010

COMPENSI ESAMI DI STATO 2009/2010



ECCO IL LINK DOVE TROVARE TUTTE LE INDICAZIONI PER I COMPENSI AI PRESIDENTI E AI COMMISSARI DELL'ESAME DI STATO 2009/2010:

http://www.tuttodocenti.it/esamicompensi.htm

domenica 2 maggio 2010

Apprendistato cognitivo e insegnamento delle competenze


Riporto un interessante intervento di Cinzia Mion sull'apprendistato cognitivo e sull'apprendimento delle competenze. Il tema è di grande attualità poichè le nuove disposizioni ministeriale sulle competenze, chiedono di superare il disciplinarismo e pongono gli insegnanti di fronte a nuove sfide metodologiche e didattiche.
"Mi hanno stimolato ad intervenire i contributi di
Pasquale D’Avolio e la diatriba tra Giorgio Israel e Silvano Tagliagambe sul sito “ilsussidiario”. Il tema è quello, a proposito dell’emanazione delle indicazioni sugli obiettivi specifici di apprendimento dei licei, di avviare un confronto sulla necessità di sostenere a scuola l’insegnamento delle competenze oppure se deve trionfare nuovamente il “disciplinarismo” .
Secondo il mio modesto avviso comprendere il senso dei testi che si leggono, scrivere un testo pertinente, chiaro, plausibile, efficace, incisivo in relazione agli scopi prefissati, saper utilizzare il problem posing oltre che padroneggiare il problem solving, paradigma essenziale per sviluppare lo spirito scientifico, sono competenze che la scuola deve saper insegnare e non è vero che derivano automaticamente dall’insegnamento delle discipline. ..
Comunque rimando agli autori appena citati la conoscenza delle argomentazioni reciproche, sottolineo soltanto lo sconcerto provato nel registrare la supponenza e l’aggressività , (la sua sì arroganza intellettuale!) che Israel esplicita nelle risposte a chi osa criticare le sue posizioni con l’implicita domanda “ma chi è questo pidocchio” che osa contraddirmi?
Io non riceverò nemmeno l’onore di questo epiteto, essendo per il professore Israel una illustre sconosciuta, anzi presumendo di far parte di quella corporazione di “ esperti” scolastici che pur privi di competenze specifiche - ( allora esistono le competenze!) – ritengono di dettar legge in nome di una fumosa dottrina metodologica “dell’education”
Sono d’accordo che sia difficile “misurare” le competenze (mancando l’unità di misura) ma si potrebbe valutarne la differente padronanza se solo separassimo il concetto di misurazione da quello di valutazione e contemporaneamente abbandonassimo la fantasia illusoria dell’oggettività .
Non entrerò perciò nel merito di questo argomento già abbondantemente affrontato da altri.
Vorrei invece provare ad inoltrarmi nel terreno difficile dell’opportunità che la scuola italiana programmi ed insegni le competenze ma soprattutto cercherò di affrontare il problema della necessità ineludibile di trasformare la metodologia se si vogliono cogliere questi obiettivi
Eviterò con cura le secche della definizione del termine competenza ma mi appoggerò prima di tutto a Perrenoud ( anche lui un pidocchio?) che dice che l’approccio per competenze richiede lo sviluppo di schemi logici di mobilitazione delle conoscenze. Tali schemi logici si acquisiscono non con la semplice assimilazione di conoscenze,( su cui qualcuno pensa poi avviare delle abilità e quindi la famosa competenza) ma attraverso la pratica. La costruzione di competenze è dunque inseparabile dalla costruzione di schemi di mobilitazione intenzionale di conoscenze, in tempo reale, messe al servizio di un’azione efficace. La formazione di competenze richiede una piccola “rivoluzione culturale” per passare da una logica dell’insegnamento ad una dell’allenamento, sulla base di un postulato semplice : le competenze si costruiscono esercitandosi sulla base di situazioni d’insieme complesse.
SI TRATTA DI APPRENDERE A FARE CIO’ CHE NON SI SA FARE FACENDOLO.
Questa affermazione mi permette di introdurre la metodologia dell’apprendistato cognitivo.
So benissimo che parlare di metodologia farà accapponare la pelle al prof. Israel ma tanto non mi leggerà …
Gli autori delle ricerche su questo approccio - Collis, A, Brown, J.S, Newman, S.E.- affermano che l’apprendistato cognitivo mutua dall’apprendistato tradizionale le quattro fasi fondamentali:
1) l’apprendista osserva la competenza esperta al lavoro e poi la imita (modeling)
2) il maestro assiste il principiante , ne agevola il lavoro, interviene secondo le necessità, dirige l’attenzione su un aspetto, fornisce feedback,(coaching)
3) il maestro fornisce un sostegno in termini di stimoli e di risorse, reimposta il lavoro (scaffolding)
4) il maestro diminuisce progressivamente il supporto fornito per lasciare via via maggiore autonomia e un crescente spazio di responsabilità a chi apprende.
Nell’apprendistato cognitivo a queste strategie di base se ne affiancano altre che danno maggior rilievo ai processi cognitivi e alle strategie metacognitive.
1) si incoraggiano gli studenti a verbalizzare (pensare a voce alta) -come ha fatto precedentemente il docente come modello- mentre realizzano l’esperienza;
2) li si induce a confrontare i propri problemi con quelli di un esperto, facendo così emergere le conoscenze tacite (facilitazione procedurale)
3) li si spinge ad esplorare, porre e risolvere i problemi in forma nuova.
In questo modo anche lo studente più debole si mette alla prova cimentandosi in contesti non minacciosi per il Sé e sperimentando progressivamente la propria autoefficacia. In questo modo egli inoltre è condotto ad assumere in proprio la regolazione dei suoi processi cognitivi.
C’è da aggiungere che nell’apprendistato cognitivo la classe è una comunità che apprende.
Tutti insegnanti ed allievi assicurano una responsabilità congiunta di apprendere ed insegnare reciprocamente.
Credo che risulti chiaro che questo metodo si inscrive a pieno titolo all’interno dell’approccio socioculturale vigotskiano (mi viene da spanciarmi dal ridere se provo a rappresentarmi cosa penserebbe il Prof.Israel di tutto ciò…)
A proposito poi di neuroni specchio- favolosa scoperta dei neuroscienziati italiani Rizzolatti e Gallese- secondo me va sottolineato il collegamento tra l’apprendistato cognitivo e l’acquisizione delle competenze. Tale connessione mi chiedo, e chiedo agli esperti in materia, se viene spiegata scientificamente proprio dal sistema dei neuroni mirror , attraverso il nesso percezione-simulazione.
In altre parole la modalità interattiva dell’apprendimento sottolineata da Vygotskij , a livello socioculturale, viene confermata dalle neuroscienze?
Dice Gallese che i neuroni specchio sono le basi neurofisiologiche della intersoggettività. Gli stessi circuiti neuronali attivati nel soggetto che esegue azioni, esprime emozioni e prova sensazioni vengono automaticamente attivati anche nel soggetto che osserva queste azioni, emozioni e sensazioni. Questa attivazione condivisa suggerisce un meccanismo funzionale di simulazione incarnata che costituisce la base biologica per la comprensione della mente altrui.
Nell’apprendistato cognitivo abbiamo detto che il docente esplicita i processi del suo pensiero (pensa a voce alta) sia quelli cognitivi che quelli metacognitivi mentre cerca e trova il senso, o la polisemia, dei testi che propone attraverso la sua lettura, mentre imposta la procedura pertinente e complessa di un testo scritto, mentre trova il bandolo nella traduzione dei testi di greco o di latino, mentre esplicita le connessioni e i processi soggiacenti al ragionamento matematico o geometrico nella esplorazione delle varie situazioni problematiche, ecc. Risulta pertanto ovvio che sono i docenti che per primi devono padroneggiare i processi mentali che stanno sollecitando, processi che invece spesso rimangono taciti e non espressi perché affidati a procedure automatizzate.
Sono pertanto i docenti universitari disciplinaristi che devono conoscere ed insegnare ai futuri docenti la loro disciplina scorporandone ed evidenziandone i processi mentali implicati!
Successivamente a turno saranno gli allievi ad essere messi alla prova con la medesima prassi, naturalmente su compiti diversificati ma simili, finchè l’abitudine ad esternare processi cognitivi e metacognitivi sarà consolidata e finchè la competenza , che sappiamo si acquisisce “facendo”, quando ancora non si sa fare, un po’ alla volta si rafforzerà anche di fronte all’imprevisto.
Da notare che tutti, allievi e docente, insegnano, man mano che le competenze affiorano.
Si parla infatti di insegnamento reciproco.
L’aspetto che piacerà meno ai fautori della scuola selettiva e classista, costruita sui vecchi parametri gentiliani- che al tempo di Gentile però aveva una giustificazione- è che in questo modo le competenze verranno acquisite anche dai soggetti più fragili.
Verificare operativamente che si sta apprendendo è infatti la più forte molla motivazionale".

Cizia Mion, 02/05/2010

domenica 28 marzo 2010

I sistemi educativi in Italia



Educare oggi: nuova ricerca di Save the Children sulla percezione che genitori e figli
hanno dei sistemi educativi nella propria famiglia e in Italia


(vedi i risultati della ricerca)


venerdì 29 gennaio 2010

Esami di Stato 2010


Ecco il link dove trovare le materie degli Esami di Stato 2010.

venerdì 1 gennaio 2010

H. Gardner e le tre E


Howard Gardner, lo psicologo statunitense, professore presso l'università di Harvard, noto in campo educativo per la sua teoria sulle intelligenze multiple, intervenendo alla IX Conferenza internazionale promossa dall'Osservatorio internazionale della democrazia partecipativa (Oidp), con la lezione "Giovani e partecipazione nella vita politica", illustra una sua interessante tesi.
"Partecipazione e cittadinanza si attivano tramite l'applicazione di una regola semplice - ha detto Gardner, citando come esempio personalità quali Luther King, Mandela, Suu Kyi e Gandhi - Quella delle tre "E". Excellence, engagement, ethics, che stanno a significare rispettivamente: la conoscenza delle regole del vivere civile, l'impegno in prima persona e prendere la giusta decisione, anche quando ciò non corrisponda al proprio interesse".
Per il professore americano nelle città multietniche d'oggi occorre imparare a dialogare.
"Denaro, mercato ed esclusiva affermazione di me stesso sono tipici della società odierna. A ciò rispondiamo - ha detto Gardner rivolgendosi ai molti giovani presenti al convegno - con tre elementi di buona cittadinanza: etica nelle scelte, rigore e competenza anche nel lavoro e impegno personale per la comunità".