Parlarne è difficile perché rischi di essere escluso, deriso: in una classe di scuola superiore i ragazzi che non vogliono fumare spinelli, ma anche impasticcarsi, tirare cocaina, sono un’esigua minoranza. Chi poi non ha mai provato qualcosa è davvero una mosca bianca. Comunque, se sei una ragazza carina ancora ti tollerano, ma un maschio che non fumi finisce nell’angolo». Sul tema dell’uso di sostanze dissertano spesso sociologi e psichiatri. Meno comune è che parlino i ragazzi.
A qualcuno di loro, però - un gruppo di amici che frequentano istituti dell’area di Rivoli, Collegno e Grugliasco, ma anche della semiperiferia torinese, un gruppo che si è formato naturalmente perché i suoi componenti condividono il disinteresse per le droghe - è venuto il desiderio di spiegare, di raccontare il livello di «normalità» a cui il «fumo» è arrivato. La molla? Il fatto che alcuni, nelle rispettive scuole, rinunceranno al viaggio di istruzione previsto nei prossimi mesi «perché si risolverà in un’occasione di sballo generale. E se tu non ci stai, rischi di non trovare nemmeno un compagno o una compagna con cui condividere la stanza», dice una ragazza che, per ovvi motivi, non desidera comparire con il suo nome né dichiarare la scuola. «Siamo venti in classe - prosegue - e quelli che la pensano come me non sono più di cinque. Tra loro c’è chi non verrà in gita perché il padre è in cassa integrazione». Un’altra studentessa, il cui liceo ha programmato un viaggio all’estero, spiega: «Parecchi miei compagni sono preoccupati perché non si fidano a portare il fumo in aereo. Quindi, al momento, la gita sta perdendo di interesse».
I professori? Secondo i ragazzi che si sono rivolti a La Stampa - tutti sedicenni e diciassettenni - evitano di prendere posizione. Nell’istituto tecnico frequentato da uno di loro, ogni tanto un professore sbotta. «Quando un mio compagno - dice Lorenzo - palesemente non è in grado di seguire la lezione, il prof gli dice “Si vede che ti sei fumato qualcosa di troppo”. E finisce lì». Docenti demotivati o poco autorevoli? «Non direi. È che si sono arresi, ogni tanto fanno considerazioni tipo “la società va così...”». E per corroborare la sua affermazione, Lorenzo ricorda un altro compagno, gran spinellatore, sempre coperto dalla sorella per timore delle ire dei genitori, il quale durante una vacanza a Sharm el Sheik con tutta la famiglia, si è sentito dire dal padre (bancario, evidentemente irritato dall’impossibilità di proseguire nelle sue abitudini): «Hai un amico che può farmi trovare un po’ di fumo al nostro arrivo?...». Lorenzo racconta di ragazzi che hanno totalmente perso la capacità di concentrarsi, di studiare, che diventano irascibili per un nonnulla. «Se ne vanno dalla classe sbattendo la porta senza nessun rispetto per il prof». Sul fronte femminile, invece, è un fiorire di crisi d’ansia. «Nella mia scuola - dice Giulia - non passa giorno che non succeda. Io penso che questo abbia a che fare in particolare con ciò che prendono in discoteca. Una mia compagna dice di aver provato anche la “droga dei cavalli”». Quella ketamina usata in veterinaria che, a bassi dosaggi, scatena sensazioni di dissociazione e fenomeni di allucinazione.
In generale, dicono i ragazzi, «il fumo arriva a scuola facilmente, attraverso qualche compagno che arrotonda la paghetta vendendolo, proprio come io posso fare la baby-sitter e lui mettere i volantini nelle buche. Fumare nei bagni, durante l’intervallo, ma anche davanti, sul marciapiede, è comune. E lo è la sera, quando si esce in compagnia: dopo il cinema è inevitabile - se non usciamo con il nostro gruppo - finire a guardare gli altri che si fanno le canne». I ragazzi che non ci stanno - i loro genitori sono impiegati, tecnici, artigiani - descrivono una vita nella quale imbattersi nelle sostanze è all’ordine del giorno. «Ho ritrovato un amico che avevo in terza media - dice Erica, una studentessa di terza liceo scientifico - e che ora spaccia cocaina in discoteca. E uno dei miei istruttori, in palestra, con cui sono uscita una volta insieme ad altri ragazzi, ha candidamente ammesso di farne uso. Oggi il confine tra bene e male è limitarsi agli spinelli o dedicarsi ad altro.
A qualcuno di loro, però - un gruppo di amici che frequentano istituti dell’area di Rivoli, Collegno e Grugliasco, ma anche della semiperiferia torinese, un gruppo che si è formato naturalmente perché i suoi componenti condividono il disinteresse per le droghe - è venuto il desiderio di spiegare, di raccontare il livello di «normalità» a cui il «fumo» è arrivato. La molla? Il fatto che alcuni, nelle rispettive scuole, rinunceranno al viaggio di istruzione previsto nei prossimi mesi «perché si risolverà in un’occasione di sballo generale. E se tu non ci stai, rischi di non trovare nemmeno un compagno o una compagna con cui condividere la stanza», dice una ragazza che, per ovvi motivi, non desidera comparire con il suo nome né dichiarare la scuola. «Siamo venti in classe - prosegue - e quelli che la pensano come me non sono più di cinque. Tra loro c’è chi non verrà in gita perché il padre è in cassa integrazione». Un’altra studentessa, il cui liceo ha programmato un viaggio all’estero, spiega: «Parecchi miei compagni sono preoccupati perché non si fidano a portare il fumo in aereo. Quindi, al momento, la gita sta perdendo di interesse».
I professori? Secondo i ragazzi che si sono rivolti a La Stampa - tutti sedicenni e diciassettenni - evitano di prendere posizione. Nell’istituto tecnico frequentato da uno di loro, ogni tanto un professore sbotta. «Quando un mio compagno - dice Lorenzo - palesemente non è in grado di seguire la lezione, il prof gli dice “Si vede che ti sei fumato qualcosa di troppo”. E finisce lì». Docenti demotivati o poco autorevoli? «Non direi. È che si sono arresi, ogni tanto fanno considerazioni tipo “la società va così...”». E per corroborare la sua affermazione, Lorenzo ricorda un altro compagno, gran spinellatore, sempre coperto dalla sorella per timore delle ire dei genitori, il quale durante una vacanza a Sharm el Sheik con tutta la famiglia, si è sentito dire dal padre (bancario, evidentemente irritato dall’impossibilità di proseguire nelle sue abitudini): «Hai un amico che può farmi trovare un po’ di fumo al nostro arrivo?...». Lorenzo racconta di ragazzi che hanno totalmente perso la capacità di concentrarsi, di studiare, che diventano irascibili per un nonnulla. «Se ne vanno dalla classe sbattendo la porta senza nessun rispetto per il prof». Sul fronte femminile, invece, è un fiorire di crisi d’ansia. «Nella mia scuola - dice Giulia - non passa giorno che non succeda. Io penso che questo abbia a che fare in particolare con ciò che prendono in discoteca. Una mia compagna dice di aver provato anche la “droga dei cavalli”». Quella ketamina usata in veterinaria che, a bassi dosaggi, scatena sensazioni di dissociazione e fenomeni di allucinazione.
In generale, dicono i ragazzi, «il fumo arriva a scuola facilmente, attraverso qualche compagno che arrotonda la paghetta vendendolo, proprio come io posso fare la baby-sitter e lui mettere i volantini nelle buche. Fumare nei bagni, durante l’intervallo, ma anche davanti, sul marciapiede, è comune. E lo è la sera, quando si esce in compagnia: dopo il cinema è inevitabile - se non usciamo con il nostro gruppo - finire a guardare gli altri che si fanno le canne». I ragazzi che non ci stanno - i loro genitori sono impiegati, tecnici, artigiani - descrivono una vita nella quale imbattersi nelle sostanze è all’ordine del giorno. «Ho ritrovato un amico che avevo in terza media - dice Erica, una studentessa di terza liceo scientifico - e che ora spaccia cocaina in discoteca. E uno dei miei istruttori, in palestra, con cui sono uscita una volta insieme ad altri ragazzi, ha candidamente ammesso di farne uso. Oggi il confine tra bene e male è limitarsi agli spinelli o dedicarsi ad altro.