Nella Carta europea dei diritti fondamentali, approvata a Nizza nel 2000, base di lavoro per l’elaborazione della Costituzione europea, l’art. 14 recita: “Ogni individuo ha diritto all’istruzione e all’accesso alla formazione professionale continua; tale diritto comporta la possibilità di accedere ..."
‘A ogni individuo’ si dice, non ‘a ogni cittadino dell’unione’.
L’istruzione non è un esercizio di uno status già posseduto, ma strumento per acquisire tale status (un prerequisito).
‘Il diritto all’istruzione non può essere rifiutato a nessuno’ (art. 2 protocollo addizionale Convenzione dei diritti umani’).
L’impegno per i 43 stati dell’attuale Consiglio d’Europa è di assumere l’istruzione all’interno del paniere dei diritti in grado di connotare la persona umana.
Lo Stato ha il dovere di garantire tali diritti attraverso il complesso di compiti, funzioni e norme cui si dà il nome di ‘Stato sociale’. E’ il modello di Stato sociale a dirci se un particolare diritto sociale, un diritto di cittadinanza, è tutelato.
La scuola è il sistema attraverso cui l’affermazione del diritto all’istruzione si traduce in effettività.
Ne discendono due condizioni:
l’impossibilità di degradare tale diritto a diritto individuale ad acquistare sul mercato quote di istruzione e cultura. Si produrrebbe uno scivolamento verso forme di democrazia censitaria
la necessità di dare alla scuola strumenti per essere luogo di comunicazione, di accettazione delle differenze, di costruzione di legame sociale. La scuola è il luogo dove si sperimenta il primo rapporto istituzionale con lo Stato, la prima sede per tutti di vita collettiva in cui si sperimenta l’esercizio dei propri diritti. Non può essere somma di luoghi separati, monoculturali, internamente omogenei.
I destinatari del diritto non sono solo coloro che sono già cittadini: l’istruzione è un diritto di cittadinanza nel senso che porta ad essa, la costruisce.
Come per altri diritti sociali, l’istruzione è rivolta a chi è in un luogo indipendentemente dalla qualità formale della sua appartenenza. Non riguarda più solo il CITIZEN, ma il DENIZEN, chi E’ in un luogo. Chi abita un luogo ha diritto di apprendere e comprendere in quel luogo.
I diritti un tempo patrimonio dei cittadini diventano patrimonio di tutti coloro che si trovano in un territorio: essi hanno diritto in virtù della loro presenza a essere istruiti e curati, a conoscere, parlare, lavorare.
Questo ampliamento non può risolversi restrittivamente in una inclusione dell’altro nel proprio sistema, incorporandolo all’interno di una comunità culturalmente chiusa: ciò costituirebbe una negazione dei soggetti; deve pertanto riconoscere le specificità e le necessità di coloro cui si rivolge.
Richiede il riconoscimento delle culture di cui chi viene da altri luoghi è portatore, di rinunciare ad alcuni aspetti della propria per favorire l’incontro con l’altro; per crescere nel confronto con altri modi di rapportarsi ai processi di conoscenza, con altre tradizioni, con altre espressioni.
La dimensione interculturale dell’insegnamento non è uno dei tanti progetti, è la dimensione necessaria e normale dei processi di comunicazione oggi, centrale per la comprensione e la costruzione di senso.
Proclamare il diritto verso i denizen apre a una positiva visione di rapporti culturali non etnocentrati e alla costruzione di identità non difensive, e a una dimensione globale non separata dalla costruzione di significati condivisi.
Occorre puntare a una comprensione del presente, a chiarirci, ognuno di noi sul nostro essere ‘meticci’, attraversati da culture – musica, arte, oggetti di vita quotidiana, forme linguistiche, cibo, vestiti,…- un tempo molto distanti e ormai prossime. Si è ‘migranti’ anche quando si è fermi in un luogo in quanto inseriti in un flusso globale di comunicazione che ci de-localizza, ci dà una diversa cognizione della nostra localizzazione.
Leggendo i dati del dossier statistico della Caritas sull’immigrazione possiamo rilevare:
siamo di fronte in misura crescente alla seconda generazione dell’immigrazione; i nati in Italia sopravanzano che viene per la prima volta in Italia; non è quindi del tutto esatto centrare tutto il problema scolastico sull’educazione linguistica/apprendimento della lingua italiana
l’apporto di nascite di ‘stranieri’ è fondamentale per riportare il saldo naturale della popolazione in attivo, quindi è un fattore di dinamizzazione e mobilità demografica
l’identità dei ragazzi e delle ragazze, il superamento degli ostacoli culturali e linguistici, il grado di integrazione, sono in stretta connessione con l’integrazione della famiglia, con il sui ‘progetto di migrazione’
il fenomeno dei ritardi rispetto all’età di frequenza di ordini di scuola e classi dipende da molti aspetti (età di inizio dell’obbligo in diversi paesi, tradizioni familiari, scelte della scuola per cui all’età anagrafica non corrisponde automaticamente la collocazione nella classe corrispettiva; mentre è forte il fenomeno della ripetenza - tra i ripetenti più del 90% sono nati fuori Italia e venuti recentemente -, dell’abbandono, della dispersione specie a cavallo fra scuola media e superiore)
il sistema scolastico italiano è in gran parte impreparato e si muove isolatamente- ogni scuola per sé - e spesso volontaristicamente, fatte salve esperienze di alcuni enti locali, comuni, province
l’orientamento è anch’esso insufficiente: l’84% di studenti stranieri si iscrive a scuole di tipo tecnico o professionale, un’istruzione che sembra garantire stretta correlazione con la possibilità di un lavoro in relazione alla situazione economica e alle prospettive familiari più che alle aspettative dei ragazzi.
Su questa situazione fluida e spesso che presenta carenze sul piano della garanzia di maggiori opportunità per chi è in situazione di svantaggio si abbatte come una scure l’emendamento sulle ‘classi ponte’ o classi di ‘inserimento’. Non è così negli altri paesi di più prolungata esperienza di emigrazione. In Belgio ad esempio un logopedista, retribuito dalla municipalità, attraverso dei colloqui stabilisce la classe - comune -dove il soggetto può essere più opportunamente collocato.
Quella dell’emendamento è in ogni caso una proposta inattuabile che alla fin fine penalizzerebbe gli stessi ragazzi italiani.
di Giancarlo Cavinato, Pavone Risorse 17.1.2009